Chi collabora non deve morire più

In questo caldo agosto 2011 Maria Concetta Cacciola, testimone di giustizia, si è tolta la vita a Rosarno in Calabria, ingerendo acido muriatico. E’ assalita dal dubbio sulla scelta che precedentemente ha compiuto. Il dubbio, forse, in lei è divenuto senso di colpa; il tormento non le ha dato tregua in quella realtà sconvolgente, forte nella sua violenza qual è la ‘ndrangheta. Sorge spontanea, sulla scorta delle notizie di cronaca, la domanda: “che cosa ha accomunato donne scomode a ricorrere all’acido muriatico?”. “Noi donne calabresi intendiamo combattere qualunque tipo di violenza – racconta al giornale Teresa Libri da Reggio Calabria – anche al fine di evitare che questi gesti, che hanno portato al suicidio più donne, vengano liquidati come crisi a sfondo psichico. La violenza nei confronti delle donne è sotto gli occhi di tutti. Basti fare mente locale sugli omicidi (femminicidi) che si compiono sistematicamente per mano maschile. Le donne, ancora oggi, tentano di trovare un equilibrio tra le loro scelte e la famiglia; investono sempre e comunque dalla parte del cuore e di cuore ci si ammala e si muore. Maria Concetta ha conosciuto la violenza maschile e la violenza di ‘ndrangheta. Questo è il punto da cui partire per comprendere come agire per essere accanto a donne coraggiose e leali che vogliono combattere la violenza subita. Maria Concetta ha scelto di aprire uno squarcio e poiché noi donne che scriviamo non siamo psichiatre non ci vogliamo attardare sulla sua eventuale “depressione”. Lei ha paura e si ribella da donna, da madre, da figlia. Si mette in discussione sapendo di dover affrontare un mondo tracciato dalla violenza. Da questo mondo vuole soprattutto difendere i suoi figli, sottraendoli alle mani rudi della ‘ndrangheta. Ama la madre ed ai lei fa riferimento nell’inferno della sua vita. La sua scelta di giustizia è legata in maniera prioritaria ad una nuova civiltà, quella che offre alle donne una possibilità di uguaglianza nella libertà. L’elemento più forte che emerge da questa vicenda è quello, per Maria Concetta, della liberazione da un mondo maschile familiare, liberarsi dal padre e dal fratello, padroni della sua esistenza e violenti. La madre, no. A lei affida i suoi figli e le chiede di dare loro quello che non ha saputo dare a lei. Una ragazza di 31 anni, stritolata: andata sposa a 13 anni, senza amore e pare che non sia stata mai amata. Questo suicidio che non è il solo, pensiamo a Tina Buccafusca, sulla quale è ricaduta la stessa sorte: bere acido e a quella più grave toccata a Lea Garofano, sciolta nell’acido. Donne e madri calabresi chiamate da un triste e doloroso destino, scomode, sicuramente. Maria Concetta dice: “A me la vita ha dato solo dolore”. C’è n’è davvero tanto per definirla psichicamente malata? Vorremmo capire chi, in quelle condizioni, può sentirsi sana nel corpo e nella mente. E’ evidente che tocca alle forze dell’ordine ed alla Magistratura scoprire se ci sono state induzioni al suicidio. Noi donne comprendiamo meglio di ogni altro la sua dura e difficile esistenza. Questi strani suicidi con l’acido non possono fermarsi nelle buie stanze per fare calare un silenzio, questo si, indotto. Abbiamo pensato di stare accanto alle donne comunque violentate nella psiche e nel corpo. Lei ha cercato la liberazione. A noi tocca dare voce alle sue sofferenze ed al suo dolore. Abbiamo l’obbligo etico e morale, nonché un dovere di sorellanza di far si che ognuna e tutte sentano il calore delle consimili. Oggi vogliamo, da donne, dare voce a Partiti e Sindacati, dare voce ai Cristiani ed agli Intellettuali che probabilmente sentono l’impotenza in questo momento assai difficile. Le donne italiane, le donne calabresi sanno che l’ora è giunta per dire “no” alle violenze perpetrate in qualunque parte del mondo. Ed in particolare alle violenze di ‘ndrangheta, mafia e camorra che ci riguardano più da vicino. Alle donne tutte chiediamo di riscoprire il dovere ed il diritto che sono alla base della nostra libertà. Il nostro Paese deve crescere nella sicurezza e nella solidarietà”. Giorno 8 settembre prossimo a Reggio Calabria alle ore 19:00 Teresa Libri ed il movimento denominato “Chi collabora non deve morire più” si ritroveranno per richiedere un incontro con il Prefetto. E’ prevista una tavola rotonda sul caso Cacciola.