Gioia Tauro, silenzio assordante sui licenziamenti al Porto

In prima linea ci sono i sindacati, nelle retrovie la politica. Un silenzio assordante circonda la lenta e ferale agonia del Porto di Gioia Tauro, il gigante ammalato dell’economia calabrese. La Cgil con il combattivo ed agguerrito segretario comprensoriale generale Nino Calogero continua il  sit in permanente al varco della dogana, ma il buio dei grandi media è “totale”, sintomo della scarsa attenzione alla grave problematica occupazionale che si profila per la Calabria. “Vi è realisticamente, molta preoccupazione, per il  crescere dei tempi di attesa; questo  non fa ben sperare sui numeri dell’esubero; soprattutto, si  alza una sola voce, è quella di tutti: si  è contrari al ridimensionamento delle attività attraverso la mobilità. Non se ne capisce la ragione perché gli indicatori danno i traffici mondiali su mare  in crescita  per i prossimi anni, Gioia Tauro continua ad essere baricentrico e il Porto  è l’unico, grazie, alla profondità dei fondali a poter ospitare le navi di grande dimensione”. Sono le parole di Calogero rilasciate al giornale. Parole che vengono quasi seminate al vento, non certo per mancanza di caparbietà, ma perché qui non è Genova, qui non è Fincantieri o Fiat, qui il problema è dell’ultimo lembo d’Italia, un problema considerato marginale. “Il Porto ed il suo indotto sono essenziali non si può mollare…” chiosa Calogero, ma il rilancio sembra inutile, il destino segnato: in centinaia rischiano il posto, un dramma non solo per Gioia Tauro ma per la Calabria.