Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, nulla è ancora chiaro

Il 15 febbraio 2012 la Marina Militare italiana comunica ufficialmente : “I Fucilieri del Battaglione S. Marco, imbarcati come nucleo di protezione militare (NPM) su mercantili italiani sono intervenuti oggi alle 12,30 indiane, sventando un ennesimo tentativo di abbordaggio. La presenza dei militari della Marina Militare ha dissuaso cinque predoni del mare che a bordo di un peschereccio hanno tentato l’arrembaggio della Enrica Lexie a circa 30 miglia ad Ovest della costa meridionale indiana …..”. Quel giorno ha inizio una delle più complesse controversie internazionali destinate ad entrare a far parte come “caso di studio” nei testi di Diritto Internazionale e che rappresenta un momento oscuro della nostra storia. Un modello di riferimento per spiegare come la titubanza ed il susseguirsi di decisioni anche discordanti fra loro, non aiutino una Nazione ad affermare la propria credibilità e sovranità, prescindendo dalle alchimie finanziarie o dal mancato rispetto dei parametri economici di Maastricht. Eventi che hanno segnato la vita di due nostri concittadini, militari coinvolti in vicende collegate al compito istituzionale loro assegnato, presi in ostaggio da uno Stato Terzo, arrogante nei confronti di un’Italia pronta a cedere sovranità a vantaggio di non meglio definiti interessi economici. Un’Italia che ha rinunciato ad avvalersi di qualsiasi diritto di applicare l’arbitrato internazionale, previsto per la gestione delle controversie internazionali. Uno strumento che nella fattispecie avrebbe assegnato ad altri non coinvolti nella vicenda il compito di fare chiarezza, in particolare su chi avesse il diritto di esercitare l’azione giudiziaria. Non si comprende il motivo per cui ancora non sia stato avviato unilateralmente questo atto fondamentale previsto dal Diritto Internazionale, ma si preferisce confermare un approccio esitante che ormai dura da 15 mesi, quasi certamente determinato dall’insicurezza politica e da un senso di sottomissione di fronte al contesto internazionale e probabilmente, anche indotto da interessi economici che coinvolgono lobby di alta finanza. Per contro, l’Italia il 21 marzo, non ha superato qualsiasi titubanza nel disporre il rientro dei due militari in India alla scadenza di quattro settimane di permesso “elettorale”, pure rinnegando una decisione presa l’11 marzo che prevedeva il loro non rientro. Un ulteriore assoggettamento ad un altro ricatto indiano che minacciava la libertà personale dell’Ambasciatore italiano a Delhi negandogli l’immunità diplomatica, storicamente applicata nel mondo anche in caso di controversie globali fra Stati. Una decisione, questa ultima, che dalle dichiarazioni dell’allora Sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura, appariva come una scelta collegiale del Governo. Il dott. De Mistura, infatti, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa diramata dall’AGI alle ore 17,51 dell’11 marzo, dichiarava ““La decisione di non far rientrare i maro’ in India “e’ stata presa in coordinamento stretto con il presidente del Consiglio Mario Monti e d’accordo tutti i ministri” coinvolti nella vicenda, “Esteri, Difesa e Giustizia”. Aggiungeva che “siamo tutti nella stessa posizione, in maniera coesa e con il coordinamento di Monti”. L’attuale “Commissario straordinario del Governo quale inviato speciale per il coordinamento delle amministrazioni interessate” alla soluzione della vicenda dei Marò, in quel momento chiariva inoltre che “a questo punto la divergenza di opinioni” tra l’Italia e l’India sulle questioni della giurisdizione e dell’immunità richiede un arbitrato internazionale: il ricorso al diritto internazionale o una sentenza di una corte internazionale”. Lo stesso ex Sottosegretario agli Esteri italiano che il 10 maggio 2012, forse affrettatamente, aveva dichiarato alla stampa indiana: «La morte dei due pescatori è stato un incidente fortuito, un omicidio colposo. I nostri Marò non hanno mai voluto che ciò accadesse, ma purtroppo è successo».

Ora il silenzio oscura di nuovo i fatti. Un silenzio tombale dopo il rientro dei due militari in India, le dimissioni dell’allora Ministro Terzi e le dichiarazioni del Presidente del Consiglio il 26 marzo in Parlamento. Un Senatore Monti perentorio in quella circostanza nel dissociarsi dalla decisione dell’11 marzo di non far rientrare in India Massimiliano e Salvatore ma, nello stesso tempo, in contrasto con quanto dichiarato due settimane prima dal dott. De Mistura. il giorno dopo promosso al rango di Vice Ministro. Un silenzio rotto solo da sintetiche dichiarazioni di intenti del nuovo Governo, con il Ministro degli Esteri e quello della Difesa che immediatamente hanno dichiarato come loro impegno prioritario il rientro dei Marò dall’India. I media tacciono, non si sa nulla sul Tribunale indiano che doveva essere costituito con lo scopo di giudicare i due Marò nel più breve tempo possibile, nessuno informa i cittadini sulla sorte di altri concittadini strappati alle loro famiglie con un atto arbitrario di uno Stato che ha calpestato la sovranità italiana e disatteso i più elementari contenuti del Diritto Internazionale. Non si parla più nemmeno di arbitrato internazionale e si assiste ad una quasi totale rassegnazione come se si fosse deciso di aspettare la sentenza indiana ormai data per scontato e riprendersi i due militari italiani in base all’accordo bilaterale India – Italia del 10 agosto del 2012 sulla restituzione sul “trasferimento delle persone condannate”, per far scontare loro la pena nel Paese di appartenenza. . Un accordo che allora poteva rappresentare un’uscita di sicurezza in assenza di una decisione ancora certa della Corte Suprema di Nuova Delhi, ma che oggi costituisce una resa dell’Italia che rinuncia a far valere i proprio diritti nel contesto internazionale. Un atteggiamento che potrebbe rappresentare un precedente pericoloso e non coerente con la cultura politica e giuridica di uno Stato caratterizzato da antiche tradizioni come l’Italia. Una scorciatoia facile da percorrere ma che sicuramente non propone un’immagine nazionale credibile sul piano internazionale e non concorre ad indurre fiducia in coloro che per dovere istituzionale difendono gli interessi e la sicurezza nazionale in condizioni spesso difficili. Un messaggio sicuramente non rassicurante per chi in questo momento in Libano, in Afghanistan ed in altre aree difficili potrebbe essere costretto ad usare le armi per assolvere al compito ricevuto e nello stesso tempo, involontariamente, causare “danni collaterali”. Di fronte alla vicenda dei due Marò, costoro difficilmente potranno essere certi che lo Stato garantirà loro l’immunità funzionale negata ai colleghi incappati nei fatti indiani, diritto negato dall’India senza che l’Italia opponesse resistenza nelle opportune sedi internazionali.