Vincenzo Calafiore

30 Gennaio 2024

 

La Memoria

 

Vedo la tristezza sopra i nostri volti, disegnata in trasparenza, vivere come se fossimo già andati via.

Cose e parole, pragmatismo e visionarietà in questa esistenza, ma chi è più vicino alla realtà? L’uomo officiante di un cerimoniale ormai vuoto, abbarbicato alla ripetitività di gesti ormai non più trasmissibili ad altri nella loro presunta sacralità, già solo fantasmi ! O la vita che insegue altre sfide e altri indecifrabili fantasmi, quelli balenati nella commedia quotidiana.

E non sapevo io che stavo cercando anch’io un rapporto che sarebbero state la letteratura e la cultura a darmi, restituendo significato a tutto, e d’un tratto ogni cosa sarebbe diventata vera  e tangibile, perfetta, ogni cosa di questo mondo ormai perduto.

Vero è che la letteratura dia senso e compiutezza alla vita e, comunque, le parole in ogni caso hanno una vita più lunga; i nomi, ora che le cose quasi non esistono più, si impongono insostituibili e perentori sulla pagina per essere salvati, nella dimensione della scrittura, le cose acquistano realtà e significato …. Una sorta di immaginazioni adempiute solo nel mondo letterario.

Il cammino o la marcia verso la vita continua ancora nonostante il tempo l’abbia apparentemente consumata, perché continua la ricerca del senso della vita, anche se i conti a volte non tornano.

La memoria presenza aspra e arcigna è in realtà una specie di tempo-groviglio alla nettezza della visione del passato associa il senso del mistero dell’esistenza, che è la sua fatica solitaria e insieme vanità di questa fatica. Insondabili restano i palpiti più profondi del cuore, insondabile il peregrinare alla ricerca del senso su questo mondo.

In questa mia età, la memoria affonda sotto una coltre di gelo. Credevo mettendomi a descrivere le diverse cose di toccare il punto culminante del mio rimpianto, invece niente, ne è uscito una rammemorazione fredda e prevista.

Invano ho cercato di vestirla con un alone di commozione, tutto rimane come prima, quei ricordi erano già andati via, morti allora, e lo sapevo! Parvenza di una concretezza che non esiste più, e io sono sempre quello che sono, un uomo col suo tempo e la sua storia, ancora tutto da scoprire.

L’unica possibile riconciliazione con la vita è alla luce disinganno, nel riconoscimento che ogni idea è fallace, che ogni tentativo è vano perché è più grande della realtà su cui volitivo e fiducioso si distendono.

L’uomo non può più trasmettere ai posteri un futuro, perché non l’ha e questo è il suo grande cruccio esistenziale più grande. E i posteri sono senza una città e senza storia e mai, forse diventeranno pienamente parte del mondo umano come forse avrebbero desiderato.

La marcia  per la vita è un inganno come lo sono le città inesistenti: l’una, nel ricordo, è un mondo che forse  sta finendo o è già finito, l’altro è un mondo che ancora irradia bagliori.

Entrambi sommersi nel gorgo di due diverse estraneità, braccati da fantasmi inesorabili; né la letteratura potrà ripagare la fatica e le attese, non si dà hortus  conclusus nella selva dell’esistenza, che corrode, inquina e devasta.

Su questa consapevolezza dell’umanità, di voler condividere il senso di diverse estraneità, su questa consapevolezza dell’inanità delle passioni non nasce, forse, l’unico fiore che avrebbe potuto addolcire il sepolcro della memoria sarebbe una mano tesa!

L’estrema sofferta espressione dell’antimemoria è nella sua accelerazione, che brucia quei fotogrammi di memoria.

La letteratura non può restituire significato a tutto, lembi di vita restano refrattari, le monadi umane sono destinate a trascinarsi per il mondo fasciate d’orgoglio vano della solitudine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vincenzo Calafiore

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