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’A sapi ‘a lapa di Renata Ceravolo – Modi di dire, proverbi e filastrocche

Pasquino Crupi, noto saggista e critico letterario calabrese, in prefazione, l’annovera  tra i “dissodatori del tesoro sepolto” che “possono con fierezza e orgoglio, farsi avanti, lavorare, ricercare, pubblicare”. Si tratta di Renata Ceravolo, “la quale – scrive ancora Crupi – già attiva nel campo della scrittura creativa, offre il profilo di una intellettuale innanzitutto legata al luogo, al suo paese di Benestare, al sacro peculio dell’unica cultura, a tutti aperta, che non conosce parzialità, faziosità, esclusioni: la cultura popolare.” Dal suo dissodare emergono volti, sogni, usi, costumi, religiosità che hanno lasciato una loro impronta nel cuore e nell’anima e che diventano poesia nata dal mondo dei silenzi rurali e sempre viva nel cuore di tutti. Su tutto viene prorompente l’amore che è la molla del mondo. Sto dicendo della raccolta di modi dire, proverbi e filastrocche calabresi che prende il titolo di “’A sapi ‘a lapa” di Renata Ceravolo, appunto, edita lo scorso anno dalla Montedit di Melegnano (MI) per la Collana I girasoli ( poesie dialettali) corredata da vecchie e suggestive fotografie della stessa Autrice come quella in copertina che ritrae la mitica Ape. L’Ape, il mezzo meccanico nato nel 1949, che ha sostituito per tanti anni l’asino “finalmente alleviato dai pesanti in – carichi”. E “dietro – ricorda la Ceravolo – sull’Ape, il contadino portò nei e dai campi: capre, maiali, legna, masserizie e molte volte anche a mici e parenti”. Ma l’Ape, soprattutto, per la  scrittrice nativa di Platì, diventa “metafora della vita, non è mai troppo presto o troppo tardi per imparare a guidarla con saggezza senza alcun bisogno di far ricorso a prevaricazioni ed alleanze con i lati più oscuri e infimi della psiche”.

Di Renata Ceravolo, (già vincitrice del Premio “Nosside” nel 1995, “Premio Malattia 2000”, 1° Premio al Concorso “Il club degli Autori” nel 2004, finalista al Premio “Giuseppe Tirinnanzi” di Legnano nel 2007), ho letto il libro con passione ed interesse e ne ho ricavato un osservatorio culturale e critico sempre più alto che ha saputo, meticolosamente e puntualmente, registrare nel corso degli anni il flusso delle metamorfosi epocali, il crescente avanzare e rallentare, accavallarsi e sovrapporsi, intrecciarsi e confondersi delle innovazioni.

Ma perché un libro del genere che potrebbe sembrare anacronistico e comunque lontano dagli interessi culturali della nostra quotidianità?  Un libro che non “ è semplicemente trascrizione fedele di un patrimonio – come annota Crupi – destinato ad arricchire i materiali della letteratura popolare”. È la stessa Ceravolo che me e ce lo spiega quando manifesta il suo tormento e il timore visto che noi della civiltà postmoderna siamo soltanto dei numeri codificati in ogni agire della vita, dalla nascita al tramonto dell’esistenza. Insomma può succedere ed anzi sta già avvenendo, che andremo a perdere la nostra identità, la nostra storia, il nostro passato, il nostro essere, il nostro nome, la nostra terra natia per mano, si rammarica la scrittrice reggina, dei “furbastri, coloro che devastano la bellezza e i sogni, che fanno scempio là dove si è creato, costruito, seminato, i tinti, quelli che tirano con arroganza, prepotenza…”.

Ed è questo che vuole evitare Renata Ceravolo non solo attraverso le varie tappe e momenti importanti della vita di una comunità esposti in questo libro, ma anche attraverso proverbi e filastrocche e poesie che corredano tutto  il suo cammino poetico e narrativo. Insomma ricordare, fare memoria, non mettere una pietra sopra a tutto ciò che comincia ad avere a che fare con l’ieri. “È la battaglia d’idee – scrive opportunamente Pasquino Crupi – per restituire al popolo di Benestare, da cui non prende distanza, la sua cultura non futile, la sua cultura utile, la cultura operativa. Cioè un sapere, che contiene tutti gli assi per orientarsi nel mondo in cui si vive e rispetto al quale, come si conviene alla società della penuria, attrezza i mezzi per la sopravvivenza.”

È un nobile intento perché destinato alle giovani generazioni, non solo della comunità dei “Tamburinari”,  troppo distratte da consumismo, materialismo e facile edonismo.

È questo lo scopo dello scrivere di Renata Ceravolo e i suoi scritti, come questo ed altri editi negli anni scorsi, tra i quali  cito “’A ‘ttaccamma ‘a vacca”, “Sutta lu pedi di la nuciglia”, “La via delle stelle” e “Tra le rocce e il cielo”, sono scritti speculari che meritano di essere riletti, approfonditi e perché no, aggiornati da ulteriori studi e documenti., perché, oltretutto, essendo la Ceravolo ideatrice del progetto culturale “Catoji in festa”, altri materiali documentali sarebbero utili alla valorizzazione del borgo di Benestare e dell’intero territorio calabrese recuperandone antichi mestieri, la tipica gastronomia, usi e costumi anche attraverso la musica etnica e la fotografia che sono i mezzi tanto utilizzati con passione dalla nostra ricercatrice.

Redazione

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