“Sull’Acquedotto Pugliese abbiamo deciso di intraprendere la strada dell’efficientamento e su quella proseguiremo. Per questo non abbasseremo le tariffe”. È un Nichi Vendola con i piedi per terra quello che annuncia, a margine dell’assemblea dell’Acquedotto Pugliese (che ha approvato il bilancio 2010 – chiuso con 37 milioni di utili – e il piano industriale 2011-2014 che prevede investimenti per 674 milioni di euro con un indebitamento che raddoppierà da 219 a 402 milioni) l’impossibilità di adeguarsi a quanto deciso dal recente referendum sull’acqua appoggiato dallo stesso governatore pugliese: nonostante i «sì» abbiano abrogato la norma che consente “al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio”, il taglio del 7% delle tariffe non ci sarà mai. Il motivo tecnico lo ha spiegato l’assessore alle Opere pubbliche Fabiano Amati con un ossimoro ragioneristico: “In Puglia la remunerazione del capitale investito del 7% è un costo: quello che pagheremo ogni anno fino al 2018 sul bond in sterline pari al 6,92% contratto durante la gestione dell’era Fitto”. “In Puglia – aggiunge Vendola – in realtà non siamo di fronte alla scelta di abbassare la tariffa del 7% e di conseguenza gli investimenti perché quella remunerazione non è utilizzata, come dovrebbe, per gli stessi investimenti, ma rappresenta la copertura di un debito e quindi dal punto di vista finanziario un costo”. Resta, però, il problema politico: perché queste cose non sono state spiegate agli utenti prima del referendum? Lapidaria la risposta di Vendola: “Nessuno me le ha chieste”. Né erano scritte nel quesito.
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