All’incirca il 12,8% della popolazione italiana sarebbe tatuata, per lo più adulti dai 18 ai 44 anni. Un dato in linea con la media europea che si attesta al 12%, ma ben al di sotto degli Usa dove i tatuati sono circa un terzo degli abitanti. I tatuatori italiani sarebbero poi circa 2800, per lo più al nord (quasi il 60%), segue il centro Italia. Al sud la presenza di queste imprese è meno di un quinto del totale. Questi i dati di uno studio raccolto nel volume “Sulla nostra pelle. Geografia culturale del tatuaggio” (Pisa University Press, 2019), autori Paolo Macchia, docente dell’Ateneo di Pisa e Maria Elisa Nannizzi, sua allieva. “Abbiamo cercato di capire – spiega Macchia all’ANSA – come il tatuaggio nelle varie epoche storiche sia stato usato per esprimere idee, concetti e opinioni per mostrare come questa forma di comunicazione sia cambiata nel tempo”, passando da emblema di ribellione o di appartenenza, marchio di infamia o segno magico ma pure accessorio di moda e simbolo di libertà. Il libro di Macchia e Nannizzi ne traccia una geografia culturale in Occidente. Di recente il tatuaggio è diventato l’emblema dei grandi cambiamenti a partire dagli anni ’60 del Novecento. Protagonisti in questo caso sono hippie, punk, biker fino agli skin-head, con il tatuaggio diventato un marchio fortemente politico. Discorso sé merita infine l’amplissima galleria delle personalità che hanno sfoggiato un tatuaggio.
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