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No hay mayor distancia que el silencio

No hay mayor distancia que el silencio Di Vincenzo Calafiore 16 Novembre 2015-Udine << … quel che tu pensi, dici coi tuoi baci, è mare che si agita e si placa; è poesia che a volte è senza voce! Ma ti amo anche per questo. ( Maree. Di Vincenzo Calafiore). >> In questi giorni nella delusa speranza ho capito quanto profonde siano ormai le distanze, le lacerate ferite nell’anima. E’ in queste lontananze, si sono giocate le ultime mani della mia inconclusa partita, e in queste ho lasciato quanto di più inevitabilmente – cestinabile – di me e di te, di perduta vita. C’è però quel dannato bisogno di amare ed essere amati, così necessario, così fondamentale per l’anima sottoposta a tutte le peculiari urgenze connesse alla qualsiasi sollecitazione esterna. E così l’amore diventa traccia da seguire, dialogo, per risolvere nodi di sofferenza, per dare voglia di vivere, per dare altro, rispetto al suo significato originario. E’ luogo di scambio reciproco di sensazioni e sentimenti positivi, vissuti attraverso la persona amata. Amare quindi comporta necessariamente rinunce, superamento di egoismi personali e compromessi: tratti che apparentemente con l’amore gioioso sembrano non aver nulla a che fare, ma che inevitabilmente si insinuano nella relazione, caratterizzandola. Ma l’amore è fonte di gioia, benessere, conferme, e può diventare crogiolo di malesseri e interne sofferenze, che assieme a atteggiamenti diffidenti nei confronti della relazione,rendono il contesto malato e l’interazione affettiva caratterizzata da modalità rigide e cristallizzate, disfunzionali. Amare quindi non è sempre una benedizione; può essere tormento, prigione, malattia che consuma al pari di un malessere fisico da cui non ci si riesce a liberare facilmente. Le lontananze sono le separatezze di uno spazio fisico o mentale che dividono, creano quel senso di interna mancanza ed è quell’amare che intervenendo le trasfigura in nostalgia, dolce sofferenza, dolce speranza. Ma quando la possibilità di ripetere esperienze appaganti, la lontananza, aspetto di distanza temporale agisce sui fatti con un meccanismo perverso, esalta la qualità della piacevolezza e, di contro, sbiadisce la portata del negativo insito in qualsiasi umana vicenda. Accade così che il ricordo si fa rimpianto di ciò che non è più, ossia tanto lontano da non poter essere afferrato e tenuto con se. Lo si vive negli amori finiti, nei rapporti tra genitori e figli, nei ricordi delle trascorse stagioni della vita che, nel momento in cui si allontanano, sembrano quasi senza macchia, talvolta perfetti. Ci si può sorprendere dalla innata capacità di divenire – istrioni – che ci fa godere della propria sofferenza nel rivivere il passato, immergere nei fatti come se nulla fosse cambiato o accaduto, nonostante le lontananze e il tempo perduto. Allora si cercano certe soluzioni di continuità, che sconfigge certe distanze e lontananze per esorcizzare forse quel doloroso senso della fine, un insieme di linguaggi che muovono dalla memoria del lontano a un luogo in cui la separazione si è fatta tangibile, visibile, quasi minacciosa.

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