Nel grande successo dell’export del “made in Basilicata” che nei primi tre mesi dell’anno registra il 145% in più nei Paesi Ue e il 22% in più nei Paesi extra Ue non ci sono solo i nuovi modelli di auto prodotti a Melfi ma ci sono anche l’aglianico del Vulture che arriva negli Usa e in Giappone, le fragole del Metapontino vendute in Germania e Belgio, i mercati di nicchia del pecorino di Moliterno e del caciocavallo e degli insaccati. A sottolinearlo è la Cia della Basilicata evidenziando che tra le attività economiche, quella agricola è la terza voce in termini di crescita percentuale (+7,8%) dell’export “made in Italy”, dietro soltanto ai mezzi di trasporto e ai prodotti per il trattamento dei rifiuti, mentre l’alimentare (+5,8%) è la terza “potenza” tra le attività manifatturiere.
La Basilicata con un giro di export alimentare tra i 20 e i 22 milioni di euro l’anno – aggiunge la nota – è un ‘giacimento’ di specialità alimentari di qualità: appartengono infatti alla nostra regione 77 prodotti agroalimentari DOP e IGP. Numeri incoraggianti per un settore che, sempre con più convinzione, sta raccogliendo la sfida dell’internazionalizzazione. Ma – commenta il direttore regionale della Cia Donato Distefano – i prodotti alimentari lucani non sono ancora percepiti nella loro interezza dai consumatori italiani: c’è ancora molta strada da fare a livello di politiche di brand per valorizzare questa nicchia. E queste prime settimane di EXPO confermano che il mondo in tema di agroalimentare guarda all’Italia, alla nostra filiera produttiva, alla nostra industria, come a un modello unico ed ideale da prendere come riferimento per know how, esperienza e sostenibilità. Un feeling internazionale positivo è colto anche dagli italiani, almeno leggendo i risultati di una indagine che Doxa ha svolto nelle scorse settimane per Federalimentare: il 63% dei nostri connazionali intervistati dichiarano infatti di essere orgogliosi di vivere in Italia indicando tra le prime motivazioni di tale soddisfazione il cibo prodotto in questo Paese. Non a caso la Cia durante la sua presenza all’Expo ha selezionato i prodotti d’eccellenza: il peperone di Senise (Azienda Antonio Gazzaneo), i vini Aglianico (Eleano Rionero) e Bio Tenuta Marina Policoro, il caciocavallo podolico (Azienda Antonio Digilio Ferrandina), i fagioli di Sarconi (Domenico Belisario), e le innovazioni di cotto fichi-marmellate (azienda Terra Vecchia, Policoro) e pane e funghi (Paolo D’Andrea, Acerenza). Per rafforzare la leadership e trovare efficaci percorsi di valorizzazione sui mercati esteri, dove i competitor sono sempre più agguerriti, però, è indispensabile che lo straordinario patrimonio “made in Italy” -sottolinea il coordinatore di Agrinsieme Dino Scanavino- sia affiancato da adeguati strumenti e interventi volti a consolidarne la base strutturale delle aziende e la sfera organizzativa della filiera. Oltre a ciò, il calo drammatico delle vendite sul mercato russo per effetto della crisi con l’Ucraina, rende urgente una revisione del quadro di strumenti per la gestione delle crisi e dei rischi in agricoltura che passi attraverso politiche innovative rispetto al passato, sia in ambito nazionale sia a livello comunitario. In questa prospettiva Agrinsieme (che raggruppa Cia, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle cooperative agroalimentari), con oltre un milione di aziende agricole, più di cinque mila cooperative, il 40% del valore della produzione agricola, rappresenta un interlocutore strategico nei confronti delle istituzioni per sollecitare la definizione degli interventi richiamati. I dati dell’Istat sono incoraggianti. Un’opportunità che bisogna cogliere per consolidare la leadership dei prodotti agroalimentari all’estero e, più in generale, per promuovere l’internazionalizzazione del sistema Italia.
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