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Roma, Teatro Opera Aida in controtendenza

Via gli elefanti e le masse di comparse in costume, via la grandeur di eserciti e cortei che sfilano al suono delle trombe egizie: l’Aida che va in scena al Teatro dell’Opera da stasera  (il sipario si alza alle 19) non è quella di Caracalla. “Essenziale e intimista” la definisce Micha van Hoecke, il grande belga che di questo nuovo allestimento firma regia e coreografia.

“Una favola noir in uno spazio di sogno e mistero”, spiega van Hoecke, “dove l’unica cosa che conta, più forte della guerra e della morte, è l’amore, quello di Amneris e Aida per Radames e quello di quest’ultimo per Aida”. Da cui le scene e i costumi essenziali di Carlo Salvi. E le luci di Vinicio Cheli all’insegna “della spiritualità e del mistero”.

Una lettura che l’opera verdiana autorizza in pieno: Aida è nelle orecchie di tutti per la Marcia Trionfale ma i suoi colori di fondo sono altri e sono uno struggente rosso, un appassito viola, un blu di notte lunare, un pallido arancio di crepuscolo venato di Sehnsucht, di nostalgici aneliti. Quelli di Aida per la patria lontana, quelli di Radames per la perfetta fusione con l’amata (che la sorte gli preclude); quelli del tutto simmetrici di Amneris che sogna d’abbattere le catene del rango, per tentare l’impossibile unione con il guerriero che sdegna lei, figlia del Faraone, e ama la schiava etiope.

Aida, dicevano i contemporanei, è il Lohengrin italiano. E in effetti questo vertice sommo dell’ultimo Verdi, lavoro tardo romantico alle soglie d’una sorta di proto-espressionismo, quest’opera tutta viscere e scavo psicologico pur vestendo i panni del grand-opéra (e pur restando, verdianamente, dramma di personaggi scolpiti a tutto tondo, di emblematica umanità), tradisce forti radici nel pathos wagneriano, almeno nella versione appunto del Lohengrin. Troppi sono i segnali, a cominciare dalla tessitura orchestrale e armonica con il peculiare ruolo degli archi. E il finale, la romanticissima estasi di amore e morte degli amanti murati vivi (O terra addio…), non è il finale del Tristano ma lo abborda, per così dire, da sponda mediterranea. Puccini sarebbe partito da qui. E in questa direzione va l’approccio di van Hoecke che punta a restituire Aidadall’interno, in una sfera emotiva che sta molto nelle corde – osiamo dire – d’una sensibilità “fiamminga”.

Ad assecondare la prospettiva di van Hoecke c’è un cast inedito, a cominciare dal direttore Jader Bignamini, per la prima volta all’Opera di Roma. Per proseguire con Csilla Boross nel ruolo della protagonista, in tandem con Maria Pia Piscitelli; con Fabio Sartori / Yusif Eyvazov / Dario Di Vietri che danno voce a Radames; e con i mezzosoprani Anita Rachvelishvili (altro debutto romano) e Raffaella Angeletti nei panni di Amneris. “Canonici”, invece, gli elementi stabili: l’orchestra, il coro e il corpo di ballo del Teatro.

Dopo la prima, repliche venerdì 24 (19), domenica 26 (16.30), martedì 28 (19), mercoledì 29 (19), giovedì 30 (19), sabato 2 maggio (18) e domenica 3 (16.30).

Redazione

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