«Il mio primo incontro con “Il giuoco delle parti” – racconta il regista – accadde nellormai lontano 1996 quando venni scritturato da Lavia per il ruolo di un signore ubriaco. Essendo impegnato in scena solo per una manciata di minuti, trascorrevo la maggior parte del tempo dietro le quinte ad ascoltare tutte le sere quelle battute così articolate e complesse recitate dai miei colleghi; in particolare Orsini e il suo Leone Gala catturavano la mia attenzione e facevano volare la mia fantasia. Ecco – prosegue Valerio – posso dire che questa mia regia ha inizio in quei giorni, mentre ammiravo quello splendido spettacolo pensavo a come lo avrei realizzato io. A distanza di anni, il caso tanto caro a Pirandello, ha fatto sì che potessi metterlo in scena, oltretutto nel modo che avevo sempre desiderato: con Umberto Orsini come interprete di Leone Gala».
La vicenda della commedia è nota, i soliti tre: il marito, la moglie, lamante. Lui, Leone Gala, sè separato amichevolmente da lei e continua ad esserle ufficialmente legato mentre in realtà vive per conto proprio. Ogni sera, tanto per salvare le apparenze, passa dal portinaio della signora, domanda se cè niente di nuovo e se ne và. Mentre luomo si diletta in cucina, la donna sceglie nuovi amanti e si annoia: la libertà di cui gode, infatti, le è concessa dal marito e ciò la irrita. Se almeno si disperasse per essere lontano da lei! Ma no, egli è tranquillo! La signora Gala, indignata, vuole farlo diventare attore e quando le si presenta una fortuita occasione linvolontaria ma gravissima offesa fattale da un gentiluomo progetta di mettere a repentaglio la vita del consorte, trascinandolo in un duello.
L’adattamento curato da Orsini, Valerio e Balò, cerca di andare oltre la commedia per ritrovarne il vero cuore nella novella “Quando si è capito il giuoco”, da cui il drammaturgo girgentano trasse il testo teatrale.
Osserva Umberto Orsini: «Nella vita usuale e ripetitiva di Leone Gala, nella ragnatela delle consuetudini e delle abitudini, in cui ogni personaggio recita una parte assegnata nel teatrino dal cielo di carta della vita, il Caso crea uno strappo in quel teatrino, introducendo un elemento di crisi, in modo improvviso e devastante. Così come accade nella novella, lo spettacolo muove i suoi primi passi proprio dallo strappo, dal momento cioè in cui Silia racconta a Leone Gala di essere stata oltraggiata sanguinosamente. Immaginando Leone Gala rinchiuso in una sorta di Stanza della tortura, egli ripercorre ossessivamente i fatti; ma ricucire quello strappo è impossibile, impossibile continuare la vita di prima, se non a patto di una lucida follia. Leone Gala ricostruisce la vicenda attraverso la sua memoria. Naturalmente, a distanza di tempo, i ricordi di Leone non possono che essere frammentati, distorti, offrendoci dei fatti una sua versione-visione, assolutamente parziale e soggettiva, ricostruendo nella sua testa anche momenti della vicenda che egli non ha realmente vissuto. Tutto questo amplifica i possibili piani del racconto: Silia è veramente un lucido architetto del possibile delitto del marito? E stata realmente sanguinosamente oltraggiata o è solo un pretesto per portare il marito al duello? Silia è una donna strega-Alcina o una fragile e complessa donna moderna? Guido Venanzi, amante di Silia, è un freddo complice della trappola ordita, o una vittima della follia omicida di Silia e della follia filosofica di Leone? Leone Gala è riuscito veramente a svuotarsi (come ci racconta) dei sentimenti e delle passioni della vita o è invece un rancoroso marito tradito che lucidamente uccide lamante di Silia? E soprattutto; commettere un assassinio crea una frattura insanabile nella vita di qualsiasi uomo: cosa accade nella testa di Leone Gala dopo tale frattura?»
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