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Venezia, Francesconi fra i magnifici 200

Manlio Cancogni, classe 1916, scrittore e giornalista che ha attraversato un secolo di storia, ha voluto il maestro Mario Francesconi alla 54.ma Biennale di Venezia. Al Padiglione Italia, basato sulle scelte 200 grandi personalità di riconosciuto prestigio internazionale a cui è stato chiesto di indicare un artista che abbia avuto una rilevanza nel primo decennio di questo millennio, sarà esposta la bellissima opera “Samuel Beckett” realizzata nel 2007 da Francesconi e raffigurante il profilo del drammaturgo irlandese, un soggetto molto amato dall’artista. Il profilo, tracciato a inchiostro su carta è successivamente sovrastrutturato da un combaciante ritratto a fil di ferro che riprende il disegno a inchiostro sottostante, creando una drammatica matericità dell’opera e del tema. All’Arsenale saranno esposti 200 artisti frutto di 200 modi diversi di concepire l’arte. Una rappresentazione caleidoscopica che non si limita alle scelte dei critici e non segue le tendenze delle gallerie, ma alimenta lo straordinario connubio tra arte, letteratura, filosofia. Come ha dichiarato il curatore Vittorio Sgarbi – “…il risarcimento del rapporto fra letteratura, pensiero, intelligenza del mondo e arte, chiedendo, non a critici d’arte, neppure a me stesso, quali siano gli artisti di maggiore interesse tra il 2001 e il 2011, ma a scrittori e pensatori, il cui credito è riconosciuto per qualunque riflessione essi facciano sul nostro tempo’. Mario Francesconi è nato a Viareggio nel 1934. Dal 1959, anno della sua prima personale, ha percorso mezzo secolo d’arte attraverso frequentazioni nel mondo della poesia e della letteratura. Un sentire alto che ha sempre trovato una naturale consonanza con la sensibilità poetica. Numerose le sue mostre in Italia ed all’estero presentato da Emilio Villa, da Mario Tobino, da Mino Maccari, da Alfonso Gatto, da Leonardo Sciascia e, dal 1970, più volte da Mario Luzi e Cesare Garboli. Schivo e riservato, indenne da volgarità e compromessi, ha lavorato in ambiti diversi di ricerca, ogni volta sorprendendo per coerenza espressiva e formale e per la capacità di rimettersi in gioco. Il maestro ha stabilito un forte legame con la parola scritta (la parola espressa a voce genera in lui più attenzione e curiosità per il suono, distraendolo dal significato): è un legame che è nato nel momento stesso in cui sono nati i suoi segni e i suoi colori, rendendoli da subito testimoni delle parole in cui s’imbatteva lungo la sua strada. Questo ha sviluppato in lui una speciale affinità verso i portatori di parole, rendendo la sua vita d’artista un’occasione ininterrotta d’incontro con scrittori, intellettuali e letterati.  Con Emilio Villa si incontra a Roma negli anni ’60: il profondo conoscitore dell’etimologia delle parole, il liberatore della parola dalla prigionia dei significati egemoni, scrive con convinzione della poetica di Francesconi, ne traccia un primo profilo artistico con straordinaria acrobazia linguistica, l’anatomia verbale della sua pittura. Altre parole ardite scorrono in quella Roma anni ’60 e Mario Francesconi frequenta con assidua casualità chi le scrive e chi ne pronuncia il suono: si troverà così nella stanza di Sandro Penna, nelle strade con Pasolini, nei teatrini off trasteverini con Carmelo Bene. Nella sua città si lascia consolare dall’atmosfera del premio Viareggio, che tra le maglie degli incontri ufficiali si fa sfuggire momenti di puri scambi letterari a cui assiste dapprima clandestinamente, e poi da frequentatore desiderato. Montale, Saba, Carlo Bo, Bianciardi sono i suoi fornitori estivi di parole, alle quali faranno da riflesso le nuove tele, che quelle parole misurano e scarnificano modellandole in racconti pittorici.  Si troverà a essere amico di Manlio Cancogni e di Cesare Garboli, una lunga, frammentata e intensa amicizia artistica, una inesauribile fonte di stimoli linguistici, di decostruzioni letterarie, di pensieri illuminanti. Ambedue scriveranno di lui, esprimendo in metafora la sua sensibilità d’uomo e vergandone decisi le qualità artistiche. Mario Francesconi, se non scrivesse con la pittura, dipingerebbe con la scrittura: da tenere presente, osservando le sue opere. Stabilisce il suo studio in via Maggio a Firenze dove Luzi è colpito da ‘la grande abbondanza, la esondazione di pittura che trabocca da ammassi di tele accumulate’. Dopo una lunga frequentazione della poesia e dell’opera  teatrale di Samuel Beckett, dall’anno 2000  realizzerà centinaia di opere a lui dedicate tra cui molti libri d’artista  interamente autografi, pittura, collages e diversi materiali.

Rosi Fontana

Redazione

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