“Sono troppe le Donne uccise da uomini violenti o che le odiano, troppe le scarpe rosse, le panchine rosse, troppa l’ipocrisia, tanto una volta terminata questa ondata di presa di coscienza, tutto tornerà come prima le donne continueranno a morire, le coscienze torneranno a dormire, la lista di nomi di donne assassinate continuerà ad allungarsi alimentando un bla bla bla senza fine sui giornali, nelle televisioni, nelle stanze dei poteri forti.

Per parlare di questo disonore mi sono permesso di prendere come riferimento la tragedia di Ecuba.”

 

Donne.

 

L’antico dolore delle donne che sono sempre vinte, quando c’è una guerra, nella pace.

Le donne che coltivano la vita con pazienza sacra e la vedono stracciata e sprecata dall’orgoglio e dalla cupidigia, dalla stupidità degli uomini, ma anche dalla vanità, e dall’indifferenza della giustizia, della politica.

 

Le donne due volte vinte della città di Troia, “ Le Troiane” da Euripide e Seneca. Tragedia atipica e considerata secondo i canoni “ aristotelici “ antichi, addirittura non rappresentabile.

Le “ Troiane”  di Euripide è invece  opera di sconcertante modernità, lei Ecuba ( che rappresenta tutte le donne) regina di Troia e moglie di Priamo, al quale aveva generato molti figli. Ecuba vera grande madre, umana, sacra, eppure tanto terrestre, è il cardine vivo e doloroso, l’epicentro di dolore, attorno a cui, c’è la vita nonostante tutto.

 

Lei, Ecuba la Grande Madre nera di lutto da cui tutte le donne hanno origine. Davanti a Ecuba, le donne, ciascuna con la propria tragedia personale e collettiva: Cassandra la vergine pazza, veggente; Andromaca, madre dolorosa, vedova di Ettore, alla quale viene sottratto e ucciso il figlio Astianatte; la fascinosa Elena, la causa della guerra infinita di Troia.

 

Nella sua costante distruzione dall’interno dei clichè, Euripide rovescia anche la figura di Elena, bella e ambigua, in cui l’eterno femminino si sposa a un’affilatezza da sofista: in quella che è una vera e propria disputa filosofica, un agone giudiziario, le ragioni di Elena la fanno apparire

anche lei, non meno vittima delle altre, non meno obbligata a difendersi, coi mezzi che ha, che la sorte e il destino le hanno dato. Anche lei, a suo modo, vinta.

 

Perché in fondo non cambierà niente, ci saranno ancora Donne vinte, umiliate, violentate, violate, uccise;dovremo sempre constatare, assieme, l’incosumabilità di raccontare questa sporca storia chiamata: “ femminicidio “ nei suoi sporchi risvolti, nelle sue pieghe e piaghe umane.

Ecco che “ Ecuba “ con la sola magia del velo nero attorno agli occhi folgoranti ( nella scena) di Gorgone e di donna evoca  lo chador d’altre donne d’altre latitudini ed epoche, altre donne violate, vinte in altre guerre quotidiane, in altre violenze familiari, molto più vicine a noi.

Ecco che nelle parole di Cassandra, la viltà che viviamo, o crediamo di vivere, oggi: chi sono i barbari?

 

Euripide con grande audacia per i suoi tempi, portò in scena il punto di vista dei vinti, degli sconfitti. Nelle sue parole risuonano anche oggi, anche per noi, millenni dopo, la stessa domanda, lo stesso dilemma, la stessa domanda: perché uccidere?

Vincitori e vinti si allontanano dall’umanità in cui forse ancora crediamo e condividiamo.

Un’umanità che dobbiamo coltivare, coi mezzi millenari della parola, della cultura.

In questi tempi incerti solo la parola e la Bellezza e la Verità che essa evoca e custodisce ci potrà salvare.

Vincenzo Calafiore

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