L’Oltre

Vincenzo Calafiore

L’Oltre

 

Vincenzo Calafiore

Agonizzo per una malattia mal conosciuta e che non si sa curare: la nostalgia!

Adesso qui mi hanno rimesso assieme i pezzi, giusto per sopravvivere e questo è già una grande fortuna.

Ma come hanno il coraggio di spezzare queste gambe e queste braccia possenti e fragili allo stesso tempo, di sfaldare queste carni dolci da accarezzare, di ammucchiare  e spezzare corpi per reinventare l’amore e la felicità?

Come avete il coraggio di fare violenza alla sola specie che sia in grado di generare nuova vita?

Ricordi ? Erano i primi mesi dell’84 ci siamo incontrati su quella spiaggia davanti a un mare che invitava a rimanere, piuttosto che andare via, come me che cominciavo a perdere il contatto col mio corpo.

Fu allora che ti parlai delle mie fiabe e delle ragioni per cui le avevo scritte, come dono d’amore, perché la fiaba  è un dono d’amore. Non potrei scrivere ne raccontare, inventare favole senza la grande capacità di amare e di dare agli altri il proprio amore, eppoi chi è capace di prenderlo?

Mi sarebbe piaciuto che tu le leggessi le mie favole, anzi avrei voluto che tu le leggessi; spiegarti che io non sono uno scrittore, che a volte la mia fantasia non riesce a trovare la giusta grammatica, come spiegarti che io sono sempre vissuto ai bordi di questo mondo, più sulle strade e qui ho incontrato migliaia e migliaia di persone dalle quali ho appreso storie meravigliose.

Storie meravigliose che mi sono portato dentro e che ho raccontato e che racconto ancora a quelle persone che con me si trovano e si sono trovate bene durante i miei lunghi periodi isolamento nel corso della mia lunga detenzione.

Scriverti, per me, era un modo di continuare a vivere, tu eri, sei stata, il mio oltre.

Avrei voluto spiegarti che sono uno di quei prigionieri che per difendere la libertà propria vive ai margini di una società allo sbando, alla quale ormai tu appartieni; prigioniero che non accetta nessuna prigione e per questo sta in prigione, com’è naturale in questo mondo rovesciato.

Dentro questa condizione, contro questa condizione mi sono avventurato nella rischiosa strada che porta a un Oltre che non sei più tu, da cui potrei non fare più ritorno.

Una strada percorribile, in questi tempi di guerra e di fuga oltre tutte le frontiere, è un mare di gente in movimento, in fuga dai sistemi, dalla povertà, dalla fame, dalle prigioni; che peccato che tu non ti sia messa in viaggio verso il mio Oltre scegliendo di rimanere nel tuo ricco di gemme e di ori, di cose fatue, di inutile esistenza, di poca cultura, di poca conoscenza.

Ma c’è una domanda che vuole essere posta: che te ne fai di una vita fatta di apparenze, di sola apparenza?

Che te ne fai di una vita se non sei più in grado di scrivere un verso, una fiaba da raccontare ai bambini, a quelle persone che le amano e che vogliono continuare a sognarle?

Vedi, molte favole le ho raccontate per anni prima di scriverle, le ho raccontate sperando nei bambini che sono dentro di noi, solo così avremmo potuto salvarci.

Nell’82 ho smesso di scrivere favole.

Il dolore ha prevalso sulla gioia.

Da quando avevo 3-4 anni e mia madre, esaurito il suo repertorio, prese a inventarle al momento per placare il mio desiderio di conoscere altri altrove, ho sempre sentito una strana attrazione per le fiabe.

Ho letto molto, ho imparato molto dalle fiabe, della fiaba ho conservato non solo la struttura, ma anche il linguaggio, persino quell’aspetto non secondario che è rappresentato dal gioco delle parole, scoprendo allo stesso tempo un mondo meraviglioso come quando passeggiando in riva al mare incontri un paguro che si avvia verso il suo oltre, o come quando col naso all’insù rimango a guardare un gabbiano disegnare come avrebbe fatto Picasso, il cielo.

Tu lo devi sapere, da qualche hanno non scrivo più favole per quei bambini, il mio cuore ha rallentato la sua andatura, ora vivo e sono parte del moto della lentezza, ove ho tutto il tempo di immaginare come sarebbe stata o potrebbe essere, non com’è la mia vita.

Non potrai immaginare come possa mancare la presenza di un bambino, parlare come loro, pensare come loro, qui in questa immane prigione ad un certo punto, mi sono mancate le parole, mi sono mancati i colori, le immagini, le filastrocche, i giochi di parole con loro.

Ad un certo punto mi ero accorto che le ultime fiabe le avevo scritte per gli adulti, per questo ho smesso di scrivere, non mi piace scrivere per i grandi.

I grandi, a parte quelli che non sono riusciti a crescere come me, non capiscono più, si sono dimenticati che ci si può innamorare senza età, di un fiore selvatico, che ci si può trasformare in una stella filante e fuggire via in cielo.

I grandi si sono dimenticati che gli animali parlano e così le piante e gli alberi, le pietre e che noi possiamo parlare con tutti questi esseri. Ma già, i grandi non riescono a parlare  neppure con loro stessi!

Amo le mie favole, non pretendo che siano delle opere letterarie. Ho cercato però con tutte le mie forze e le mie capacità di far si che piacessero ai bambini. Non puoi capire, o forse puoi, come per me può essere triste non essere più capace di tentare di scrivere.

Per questo mi è difficile fare qualsiasi rappresentazione di me stesso, di parlare di me, di quanto sono bambino, delle mie battaglie di rimanere bambino.

Tu non sei più una bambina o un bambino, avanzi nel labirinto dell’orrore assoluto e provi sul tuo corpo il rischio estremo di perdere te stesso, te stessa e il mondo.

C’è un fondo di reale esperienza, che ci dice che in questi miei racconti tutto è vero: i vuoti di memoria, l’occhio che esplode in tante visioni contemporanee, il cervello che non ragiona più, le allucinazioni, gli sdoppiamenti, le rotture dei margini, da qualche parte privati dalle parole e privati dal corpo.

La parola che ci manca è : magia… magia del vivere!