La frivolezza di essere Italiani

La frivolezza di essere Italiani

Di Vincenzo Calafiore

04 Novembre 2020 Udine

Come certi fantasmi di vecchi castelli, che scompaiono e riappaiono a intervalli di tempo,

così politici amano ritornare alla ribalta, ben riconoscibili anche sotto nuove casacche.

Cambiarsi è facile … rimane anche la poltrona… che non cambia mai, sempre la stessa.

Qualcosa non va, la nuova reincarnazione non ci inganna del tutto, riconosciamo i vecchi attori, volponi e bugiardi, che sembrano strizzarci l’occhio, come per dire: che volete sono sempre io, e mi avrete fino alla mia fine.

Il problema è che nessuno di questa specie sa di nuovo, o  è entusiasmante, o è un vero, ma vero politico, semmai sanno di muffa, di parrucconi.

A noi “ italiani “ perché qualcosa ci interessi deve stimolare allo stesso tempo il nostro desiderio di novità, come successe coi cinque stelle, e il suo contrario, vale a dire la nostra memoria.

Che parolaccia… la memoria…noi non l’abbiamo, non l’abbiamo mai avuta

 e quindi?

Ma quelle vecchie canaglie noi le conosciamo bene, come il gatto e la volpe hanno sempre un contratto da farci firmare!

E anche se ci secca ammetterlo per certi versi ci piace averli addosso come zecche, parassiti, uomini inutili, esperti di una delle scienze più complesse e raffinate che esistano, la scienza della frivolezza, della beffa …

Non quella individuale, che ognuno coltiva all’interno di sé, ma collettiva, come parte necessaria, anche se inconfessabile, del destino … un destino da compiersi.

Dunque non, la frivolezza di cui i politici sono insieme l’anatomisti e i sacerdoti, è un loro legame collettivo, una malattia epidermica, un linguaggio capace di cementare, tenere assieme, tanti popoli diversi e uniti sotto lo stesso tricolore.

Li vediamo giorno e notte, a colazione, pranzo e cena, come qualcosa di imperante, di necessario alla nostra sopravvivenza, nelle loro lievi coloritura professionale, l’eleganza dei loro completi di lino, la perfetta incarnazione moderna dei custodi della frivolezza.

In loro troviamo la sintesi suprema della “ presa per il culo “, ma anche la sintesi suprema di vecchie professioni, figlie e serve del privilegio e della ricchezza … mentre un gradino più abbasso, altre onorate società, spie e cortigiani, ruffiani e servi e scrittori piegati buoni solo a scrivere epigrammi, i nottambuli dei salotti, i netturbini e gli schiavi delle svariate sigle.

La nostra condanna è il doverli vivere a lungo, fino alla nostra ultima goccia di sangue, perché protetti da Ermes, questa ombra sociale.

La nostra memoria è vuota, o non ricorda, non ricordiamo per quale scopo essi sono lì in quel castello dorato, con il  “tutto compreso “ assicurato, il loro riverbero abbraccia il cosmo intero italiano e tutto il passato.

Lo strappo che si è ormai verificato, tra loro e noi, crea nel tessuto spazio-tempo un dolore che lacera l’anima di coloro che credono in una sorta di Unità Nazionale, che restano qui in questa Patria svenduta sottobanco ai mercenari monetari, ai moderni pirati delle economie.

In ogni caso pensavamo di essere tutti italiani, pensavamo di conoscerci o conoscere la civiltà alla quale apparteniamo, e che tuttavia non riconosciamo più … noi feriti e gli umiliati sopraffatti preda di uno sconcerto che pesa sulle coscienze di pochi.

Chissà cosa ci riserverà il domani e cosa succederà, anche se un’alternativa ci sarebbe.

Potremmo decidere noi come meglio vivere, anche fosse nel nostro intimo, di vedere sfilare prigionieri coloro che hanno quasi cancellato generazioni e esistenze.

Un cambiamento sarebbe auspicabile, necessario e il popolo dovrebbe volerlo.

Vige però fra gli uomini una crudele legge di conservazione e ogni volta che qualcuno vuole mantenere e avere la propria libertà o indipendenza economica, sarà qualcun altro a pagarne le spese.

Vincenzo Calafiore

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