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La doppia sfida, sociale e culturale, dell’Ipseoa “E. Gagliardi” di Vibo Valentia

Con il progetto di solidarietà “CASA” l’Istituto alberghiero reagisce all’emergenza Covid 19 di fronte alla povertà materiale e culturale del territorio, ma anche verso gli stereotipi e i modelli con cui i mass media costruiscono e comunicano l’immaginario collettivo.

“L’opera umana più bella è di essere utile al prossimo”

(Sofocle, Edipo Re, 430- 420 a. C.)

Homo sum, humani nihil alienum puto, Sono un uomo e non considero estraneo niente a me che non sia umano

(Publio Terenzio Afro, Il punitore di se stesso, II sec. a. C.)

 “…Se tu non senti la pena degli altri, non meriti di essere chiamato Uomo”

(Saadi di Shiraz, XIII sec.)

“Se non potremo salvare l’umanità, almeno ci salveremo l’anima”

(Lorenzo Milani, Lettera ai giudici, 1965)

Il paradossale enigma amletico della comunicazione mediatica

Le buone notizie non fanno notizia in Calabria e nel Paese. Al contrario, quando si tratta di sbattere in prima pagina brutte storie, crimini e altri fatti di cronaca nera che mettono in cattiva luce il territorio e le comunità, allora lo spettacolo è assicurato. Il crimine fa gola, eccita, narcotizza e attrae la morbosità di lettori e spettatori. È una droga sapientemente inoculata da mani esperte sia con un linguaggio esplicito che  attraverso la persuasione occulta.

In questo contesto comunicativo e mediatico, i laboratori di solidarietà che si sono aperti nell’Istituto Alberghiero “E. Gagliardi” non potevano certo assurgere all’attenzione dei media che orientano l’opinione pubblica (come la Rai). Una scuola considerata di serie C – nonostante sia l’unico istituto a livello nazionale ad avere quattro alunni inseriti nell’Albo nazionale delle Eccellenze nella piattaforma Indire del Miur – che, tra le tante sfide che ha dovuto affrontare, ha scelto di far fronte alla povertà di tante famiglie e ha aperto le cucine per preparare dei pasti. Lo ha fatto dall’inizio di aprile con un “Gruppo di cuochi e pasticceri volontari” formato da ex studenti e allievi del Corso serale che, in modo spontaneo e con generosità, grazie all’impegno di Giovanni Colacresi, ha deciso di fare dono del proprio tempo per dare sostegno alle famiglie bisognose. A tal fine ha dato concretezza al progetto denominato “CASA” (Cucine Aperte Solidarietà Alimentare), messo in cantiere insieme all’Amministrazione provinciale, la Croce Rossa e la Fondazione Banco Alimentare di Vibo, rappresentati rispettivamente dai presidenti Salvatore Solano, Caterina Muggeri e Antonello Murone. 

In una provincia che le classifiche sulla qualità della vita relegano da anni ormai agli ultimi posti, queste notizie non destano clamore così come l’esperienza di coesione grazie al sentimento della solidarietà che ha contagiato oltre 50 volontari, creando un rapporto di virtuosa collaborazione tra Scuola, associazioni di volontariato e i diversi contesti istituzionali e sociali. E non poteva essere una notizia appetibile l’altra iniziativa che, da venerdì 8 maggio a venerdì 15, è stata ospitata sempre dall’Istituto “Gagliardi”. “La solidarietà è servita” ideata e organizzata dal direttore della Comunicazione e del Marketing Daniele Cipollina della società sportiva Vibonese Calcio (che milita in serie C), ha messo insieme diversi chef stellati della Calabria, a cui hanno partecipato tante aziende del territorio regionale del settore ristorativo e agroalimentare, con una raccolta, in derrate alimentari, che si aggira intorno a 80mila euro. Si è creata una maratona solidale che non ha precedenti e che vede l’Istituto “E. Gagliardi” in prima linea, unico in Calabria (e molto probabile nel resto del Paese) a fare “scuola di solidarietà”.

Con grande umiltà, semplicità e spontaneità sono stati tanti i cittadini che hanno sentito la responsabilità etica, umana, sociale di dare una mano a tutti coloro che vivono in condizioni di indigenza. Ogni giorno gli chef (da Giuseppe Romano, regista dell’organizzazione, a Enzo Grasso, Agostino Bilotta, Daniele Crigna, Enzo Grasso e Giuseppe Rombolà con il resto delle brigate), hanno preparato in media circa 300 pasti al giorno (primo, secondo contorno, acqua, vino, birra e dolce) distribuiti dalla Croce Rossa o consegnati alle varie associazioni che collaborano con la Fondazione Banco Alimentare e con la Protezione Civile. Un lavoro intenso di preparazione, di supporto, di aiuto, di umile servizio che ha impegnato circa 50 volontari dalle 8 fino alle 17 e che testimonia come in situazioni estreme, di grave emergenza, una moltitudine di perone si unisce e tira fuori energie inaspettate mettendole a disposizione di chi ha bisogno, riconoscendo la dignità dell’essere umano come valore assoluto. Ma la Solidarietà non è materia di esame e non rientra nei programmi ministeriali; altresì non è un ingrediente che può far gola ai buongustai dell’informazione dal palato fine, perché non fa parte del menu che è servito nei ristoranti a 7 stelle della comunicazione mediatica.

Solo insieme ci si può salvare: da soli non si può vincere nessuna sfida. Questo il messaggio e la missione principale emersi attraverso questa iniziativa, con l’impegno e la responsabilità che si deve assumere ogni essere umano che abbia Scienza, Coscienza e Intelligenza. Lo ho rammentato don Lorenzo Milani in quella sua illuminante memoria “Lettera ai giudici” scritta nel 1965, concludendo che “se non potremo salvare l’’umanità ci salveremo almeno l’anima”.

Con questo spirito il “Gagliardi”  ha intrapreso il percorso di solidarietà e di risposta ai bisogni del territorio, sia verso le famiglie più fragili economicamente attraverso la didattica a distanza con la distribuzione dei 100 tablet forniti dal Miur, più altri 10 portatili in dotazione della scuola, ma soprattutto facendo sì che i laboratori potessero essere messi a disposizione delle associazioni di volontariato con il fondamentale sostegno dell’Amministrazione provinciale, coniugando il messaggio lanciato dal Miur e dal Ministro Lucia Azzolina, che “la scuola non si ferma”. E l’istituto “E. Gagliardi” non si è fermato e si è assunto la responsabilità di aprirsi al territorio e alle sue istanze di carattere sociale e culturale. Un’opera che il dirigente scolastico Pasquale Barbuto promuove con instancabile abnegazione, grazie alla sua sensibilità umana, alla sua grande professionalità, per offrire alla Scuola, l’importante e prioritaria missione didattico-formativa ma anche sociale, di esemplare istanza umanitaria. Questo solco che quotidianamente viene tracciato ha il principale obiettivo di creare una rete territoriale di reciprocità e collaborazione fattiva sotto il profilo istituzionale e professionale con le diverse realtà produttive e imprenditoriali, avendo particolare cura e attenzione verso le fasce più deboli, per dare attuazione ai fondamentali principi costituzionali (come l’art. 2, 3 e 4).

Il dramma delle vecchie e nuove povertà nel tempo dell’emergenza Covid 19

Quello della povertà, è diventato un dramma che si è unito all’emergenza Covid 19 per molte famiglie. Nel loro lavoro di prossimità, le associazioni hanno constatato che l’indigenza è in forte crescita sul territorio del Vibonese e regionale. Sono soprattutto le nuove povertà che incidono e che preoccupano a causa di molti lavoratori in nero o stagionali che hanno perso il lavoro nel campo della ristorazione, del turismo, dell’artigianato, dell’edilizia. Si calcola che si aggira tra il 30 e 40 per cento questa nuova povertà e non rientra in nessun sostegno da parte dei provvedimenti che sono stati varati attraverso i decreti governativi. A questo grave problema, si aggiunge l’altro inquietante fenomeno delle organizzazioni criminali che di fronte ai bisogni elementari di sopravvivenza, riescono a dare risposte immediate. E’ stato denunciato più volte, tra gli altri dal procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri, il maggiore potere di infiltrazione della criminalità organizzata in questo periodo di grave crisi economica, con delle conseguenze che possiamo soltanto immaginare in un territorio fragile, mettendo sempre più a rischio la tenuta democratica del tessuto sociale. Non considerando, inoltre, che nella classe politico-istituzionale, non sono rari i casi di coloro che sono asserviti ai poteri occulti e agli interessi meschini che si alimentano nel degrado e nella corruzione, essendo privi di valori etici e di responsabilità morale. Ecco perché le azioni di solidarietà da parte del mondo del volontariato e istituzionale, attraverso iniziative come quelle messe in campo dall’Ipseoa “E. Gagliardi”, con la costituzione del Gruppo di cuochi e pasticceri volontari, la Vibonese Calcio, la Croce Rossa, la Fondazione Banco Alimentare, l’Amministrazione provinciale, il Gal Terre Vibonesi, con la partecipazione degli chef e delle aziende dei territori che hanno messo a disposizione i loro prodotti, sono importantissimi per far rinascere il territorio, dopo questa grave crisi, ma soprattutto per ritrovare fiducia nelle risorse fondamentali che deve generare una comunità sana che ha uno sguardo lungimirante, mettendo al centro gli ideali umanitari e i principi democratici.

Il ritorno del mito della Gorgone sulla scena mediatica digital e social

In questo scenario inquietante, emerge con più forza, una questione fondamentale, legata proprio ai modelli e al linguaggio della comunicazione mediatica, che interroga le menti pensanti: “Come è possibile uscire dal labirinto, se l’informazione e l’intellighenzia  istituzionalizzata non promuovono la crescita umana e culturale, ma alimentano il mostro? Come liberarsi dalle perverse dinamiche che vanno a nutrire un corpo sociale contaminato da patologie endemiche e dominato profondamente dai luoghi comuni, da pregiudizi, stereotipi e retaggi atavici?”

Non è una novità segnalare come l’associazione che magnetizza e pietrifica i media con il suo sguardo (ritorna il mito della Gorgone) sia quella della ndrangheta. Ormai ha assunto le sembianze di un mito, con tanta narrazione mitica, sempre assoluta protagonista e l’onore delle prime pagine. Vuoi mettere infatti un bel delitto di ndrangheta con la lupara da esibire sul piccolo e grande schermo per soddisfare così le brame di un popolo che ha fame di violenza e di crimine? Tutto il mondo deve sapere che la Calabria è regno indiscusso di boss, ‘ndrine, clan, cosche, santisti e santoni, e il mondo è felice quando vengono confermate le proprie attese, perché la camera dell’eco (echo-chamber) riverbera e compiace i barbari istinti del popolo sovrano. Il mercato ha bisogno del prodotto tipico più venduto al mondo e non può essere deluso. La creazione mitica ha funzionato nell’immaginario collettivo fin dai tempi più remoti, soprattutto quando si tratta di generare una narrazione che abbia come protagonisti i nuovi simulacri dell’informazione sfornata dagli uffici stampa del monte Olimpo, con la specialità e la dedizione a disseminare il linguaggio della violenza e dell’odio.

Il sospetto è che si è di fronte ad una strategia scientemente sperimentata e i media, di vecchia o nuova edizione, ne sono lo strumento e il fine. Sta di fatto che si rinnova una struttura antropologica collaudata già in passato che deve produrre la cosiddetta profezia che si autoavvera e che soddisfa determinati poteri, che siano occulti, legali o criminali: la predizione così genera l’evento e l’evento conferma la predizione. Secondo questo paradigma i vibonesi e i calabresi si devono autoconvincere che sono brutti, sporchi e cattivi e anche idioti, così sono felici e contenti di adorare i loro carnefici, come nella cosiddetta sindrome di Stoccolma. Il complesso di inferiorità si è talmente radicato che diventa una impresa titanica estirparlo, perché ha assunto i connotati di un archetipo. E genera, come contraltare, la retorica dell’orgoglio, ma non si smette di guardare la pagliuzza negli occhi altrui, pur di non vedere la trave nei propri. Da questa catena infernale non si deve uscire. Una condanna che dovrà espiare chi è nato o vi nascerà in questa terra “senza colpa e senza redenzione” (Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli), e quindi predestinato o all’emarginazione, o all’emigrazione o alla dannazione.

Soltanto quando si invertiranno le gerarchie delle notizie e i modelli comunicativi, e vedremo la Scuola e coloro che si impegnano a diffondere la Cultura della solidarietà e a seminare i valori umani ed etici, protagonisti nei palinsesti televisivi e nei TG nazionali e regionali, solo allora possiamo sperare che la ndrangheta – e tutte le altre mafie ben camuffate e dissimulate dai professionisti della mistificazione – come ogni fenomeno umano, possa essere destinata a scomparire (Giovanni Falcone).

Proprio per questo motivo si auspica che i media – in particolare la Rai che ha, tra i suoi principali compiti e finalità, la missione di pubblico servizio e di utilità sociale, in base ai principi sanciti dalla Costituzione italiana e dall’Unione Europea – mutino strategia comunicativa e diano più voce alla bellezza umana e culturale che il territorio custodisce e sa esprimere, magari in silenzio e con dignità. Si spera non sia vox clamante in deserto.

L’impressione che domina in questi tempi è il messaggio – diventato nuovo linguaggio – che non si può fare del bene, che donare umanità significhi oltraggiare i benpensanti patrioti e sovranisti social,  che il predicato cristiano ed etico della fratellanza e della pietas deve essere bandito e combattuto (mettendo in croce anche ii versi del poeta iraniano Saadi di Shiraz impressi all’entrata del palazzo dell’ONU, “…Se tu non senti la pena degli altri, non meriti di essere chiamato Uomo”). La vicenda dell’odio scatenato verso la giovane cooperante Silvia Romano, dopo 18 mesi di sequestro, rappresenta la cartina tornasole dello stato di infermità del Paese e deve far riflettere sull’infezione delle coscienze e su come, una buona parte dell’Italia, si nutre di acredine, di veleni, di indifferenza e di sentimenti disumani. Questi fenomeni ci rivelano come l’imbecillità e la viltà siano diventati la via maestra per essere al centro dello show, grazie alla propaganda, al culto della personalità e alla manipolazione portata avanti da inquietanti personaggi che lucrano sulla deficienza culturale e sulle frustrazioni che hanno animato e animano i populismi e i sovranismi. In questo “numinoso” orizzonte si staglia la storia degli insulti razzisti ai meridionali da parte dell’egregio giornalista Vittorio Feltri e di tutto quell’ambiente mediatico in cui pascola (degni eredi dello scienziato positivista Cesare Lombroso). Ed infine, non si dimentichi l’ammonimento di Seneca nella Phaedra: “Il popolo gode nell’affidare il potere al turpe” (Populus gaudet tradere fasces turpi).

Nicola Rombolà

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