Giovanni Razvan ritorna a Soriano con il suo libro “La mia giovane vita. Un’Odissea senza ritorno”

Il libro scritto dal giovane rumeno scomparso l’11 febbraio è stato presentato sabato mattina 9 marzo nella sala Consiliare del Comune di Soriano. Tanta partecipazione della comunità che ha testimoniato l’affetto per Giovanni e per la famiglia. Tra i partecipanti anche Anna Maria Stanganelli (Garante per la Salute Regione Calabria) che ha voluto intitolare un concorso letterario a Giovanni nell’ambito del premio “Lilia Gaeta” che si svolge a Reggio Calabria.  

 

La storia di Giovanni Razvan non è finita l’11 febbraio. La sua biografia segnata da una lotta titanica per strappare alla vita un sorriso, si sta disseminando attraverso le parole che questo giovane rumeno ha tradotto nel suo testamento, “La mia giovane vita. Un odissea senza ritorno.”

Con le sue parole è ritornato a Soriano sabato mattina 9 marzo. Il libro è stato presentato nella Sala consiliare del Comune alla presenza della madre di Giovanni Victoria e del padre. Ed è stata una partecipazione intensa quella della comunità di Soriano. Giovanni ha saputo entrare nel cuore di tutti, soprattutto giovani, che non lo hanno dimenticato, partecipando con emozione all’incontro. Al termine della presentazione è stato anche festeggiato simbolicamente festeggiato il compleanno di Giovanni (19 febbraio), come momento di commemorazione e convivialità con il taglio della torta.

Ed è sull’onda emotiva che è stata vissuta la presentazione. Gli interventi che si sono succeduti, a partire da Angela Varì (presidente della Commissione Pari Opportunità del comune di Soriano) che ha introdotto con un brano tratto da un suo testo inedito, Sabbie mobili, dedicato alla sofferenza che si vive quando si deve affrontare un cancro. Particolare significato ha assunto la presenza e l’intervento di Anna Maria Stanganelli (Garante della Salute Regione Calabria), autrice della Prefazione del libro, la quale ha istituito un concorso letterario intitolato a Giovanni, nell’ambito del Premio “Lilia Gaeta” annunciato in occasione della Giornata internazionale della lotta contro il cancro pediatrico, che si è svolta il 15 febbraio a Reggio Calabria.

Tra gli interventi iniziali anche quello di Aldo Riccelli (presidente Acmo – Associazione calabrese malati oncologici) che ha spiegato l’importante lavoro compiuto dai soci Acmo per alleviare i disagi delle famiglie che vivono questo dramma.  Ed è proprio grazie all’impegno dell’Acmo che è stato pubblicato il libro.

Sulla scia della forte emotività anche le parole di Caterina Patania (coordinatrice Acmo Vibo Valentia sez. “Daniele Vaccaro”e autrice dell’introduzione al libro) che ha seguito Giovanni come psicoterapeuta negli ultimi mesi della sua vita spingendolo a scrivere la sua storia. Nel suo intervento ha ricordato la straordinarietà di Giovanni, la sua battaglia contro il male che lo stava divorando, la sua carica vitale e l’amore per la vita. Anche Nella Fragale (responsabile editoriale Grafichéditore, la casa editrice che ha pubblicato il testo) ha ricordato con commozione il momento in cui ha consegnato a Giovanni una copia speciale in formato digitale (le cui condizioni di salute erano gravissime) due giorni prima della sua morte in ospedale a Lamezia. Ha raccontato in particolare il lavoro straordinario compiuto per cercare di anticipare la possibilità che Giovanni potesse vedere il suo libro e la felicità che ha manifestato.

Nel corso della presentazione moderata da Vincenzo Primerano (giornalista), si sottolineano gli interventi della direttrice del Polo museale di Soriano, Mariangela Preta, testimoniando la sua drammatica esperienza con un tumore. Hanno concluso padre Carmine Palladino e mons. Giuseppe Fiorillo lasciando un profondo segno con le loro testimonianze. Particolare effetto emotivo quella di Padre Carmine il quale ha raccontato il calvario della propria famiglia che il tumore ha devastato in poco tempo portandosi il padre, la madre, e altri congiunti. Nel suo messaggio finale ha rievocato il momento in cui nell’ennesimo lutto familiare ha dovuto un percorso di analisi, perché era stato troppo il carico di dolore: “E lì ho avuto modo di capire, di comprendere che la vita è un dono e che deve essere gestito in modo positivo. Che cosa c’è di più importante nella vita che quello di donare qualcosa di bello, anche una giornata diversa. Pensate che quando ho perso mia madre, sono andato a parlare con lei al cimitero raccontandomi”.  E rivolgendosi alla madre di Giovanni, la esorta: “Signora, io non amo le frasi confezionate e dire ‘lei si deve fare coraggio, lei deve andare avanti, spalancare il suo cuore alla speranza’. Giovanni vive anche attraverso questo scritto, vive attraverso questa organizzazione. Quante volte è bastata una sola parola per far riprendere con coraggio il cammino. Le dico che posso comprendere in silenzio il suo dolore. E credo fondamentalmente che il messaggio di Giovanni sia un messaggio nel quale darà una testimonianza per tutti noi attraverso degli incontri per far capire che di fronte ad un dolore del genere si apre – adesso uso una parola confezionata – la speranza in una ricerca che continua ad essere in atto, affinché questo mostro venga distrutto.”

Infine l’intervento conclusivo di mons. Fiorillo con una riflessione ad ampio respiro, denunciando l’attuale follia di cui i principali responsabili sono i poteri che dominano il mondo. “Le parole di padre Carmine sono macigni” ha esordito, ricordando la sacralità del luogo, dove ci sono memorie antiche con la presenza dei frati che si sono succeduti nel corso dei secoli. Poi ha focalizzato l’attenzione sul messaggio che è presente nel libro di Giovanni:

“Stamattina è avvenuto un miracolo, il miracolo di Giovanni che ricorda l’immagine evangelico del chicco di grano: se non muore non dà vita. Tutti sappiamo che dalla morte del chicco viene fuori la spiga, viene fuori il pane fragrante. Da questa enorme sofferenza nasce una nuova vita. La vita dell’accordo, dell’unione, della fraternità. Quanto si lotta per vincere questo mostro e poi basta la cattiveria di questi reggitori del mondo per produrre tantissima morte. Qui lottiamo e si lotta per la vita, mentre nel mondo quanta morte viene prodotta attraverso bombe, sventramento di città, con il massacro di bambini. E allora veramente il miracolo è questo: le parole grandiose, belle, intense che avete tutti espresso, perché sono state pietre per costruire questa casa dell’accoglienza e della benevolenza. Sono questi incontri, sono queste vittime, questi martiri che possono produrre il miracolo. E devono farlo il miracolo: dalla morte di Giovanni ne viene fuori la vita. Il suo messaggio deve camminare con le nostre gambe, con le nostre parole, con i nostri sentimenti, ma deve camminare, perché questo mondo deve cambiare. E anziché investire in morte, dobbiamo investire in vita. Oggi le fabbriche della guerra lavorano 24 ore su 24, con tre turni per produrre morte. Invece noi volgiamo che lavorino tutto il giorno per produrre vita. Una sola bomba intelligente, dicono, costa da 5 a 6 milioni. E quante bombe che offendono la nostra intelligenza vengono costruite per distruggere! Vogliamo che questo denaro non si spenda più e che questi strumenti di guerra come dice Isaia, siano trasformati in strumenti di lavoro: le lance in aratri, le spade in vomeri, affinché possano produrre benessere, ospedali, strade, laboratori. Questo vogliamo. E Giovanni oggi ce lo dice. Tutte le vittime di questo terribile cancro ce lo gridano: ‘noi siamo dei martiri, ma portate vita!’. È questo il messaggio forte che ci dà Giovanni. Quanta vita e quanta speranza in lui. Giovanni ci dà questo bel messaggio a tutti noi: l’integrazione. Oggi urge questo messaggio. Si viene dal sud, dal nord, dall’est e dall’ovest, in questi nostri territori, in questa nostra Europa si viene per necessità, non per turismo. Voi siete venuti dalla Romania. Come è bello dire vi siete integrati. E se noi siamo qui è perché Giovanni è stato capace di creare questo bell’incontro, il suo sorriso, il suo sentirsi fratello di tutti. Questo è il grande messaggio umano, cristiano che Giovanni ci dona: lo stare insieme agli altri, sognare insieme perché tutti siamo questa grande famiglia umana, che faticosamente cammina, che faticosamente spera. E tutti noi abbiamo parenti, amici colpiti da questo male che cammina, che si nasconde. E che sappiamo noi se nella nostra vita c’è nascosto in modo subdolo questo male? E allora la solidarietà ci può aiutare oggi. Si esce fuori con questo grande desiderio di gioia, di abbracci per sognare un mondo nuovo…”.

Nel segno dell’integrazione che ha portato Giovanni e la sua famiglia ad essere parte della comunità, mons. Fiorillo nel suo accorato appello, ha allargato lo sguardo collegando il presente con il passato:

“Oggi quello che avviene nel mondo è avvenuto già nel VI secolo d. C. Con la caduta dell’impero romano si sono riversati tanti popoli, sono venuti con le armi. Oggi invece vengono in maniera umile. Allora c’è stato il miracolo dell’integrazione: i conventi, le chiese, i matrimoni, gli incontri. E noi siamo il frutto di questo antico incrocio. Oggi dobbiamo ricreare questo miracolo. Giovanni ce lo dice. Oggi si ripete quello che è avvenuto con questi popoli che arrivano bisognosi di tutto. Dobbiamo accogliere, dobbiamo integrarci vicendevolmente, scambiarci le culture, dialogare. I nostri territori si stanno spopolando. Che vengano quindi gente di buona volontà! C’è tanto bisogno oggi, non dobbiamo dire gli stranieri ci rubano il lavoro”.

Le parole conclusive del sacerdote focalizzano il significato del messaggio della storia di Giovanni. “Giovanni ci dice questo: io mi sono integrato, la mia famiglia fa parte di questa grande famiglia di Soriano. E se Giovanni ci lascia questo messaggio accogliamolo: lui è quel chicco che è morto ma sta sorgendo dalla terra, sta diventando stelo, sta diventando fiore, sta diventando albero che dà frutti.”