In anteprima ad Atri, poi a Busseto, la nuova opera teatrale della scrittrice, musicista e attrice abruzzese
Siamo a Città Sant’Angelo, pochi chilometri dal centro di Pescara, in un giorno sereno di primavera. Una bella casa tra le altre disposte in file concentriche, a semicerchio. Quasi a gradoni, per guadagnare un centro ideale sulla collina. Si guarda il mare, da qui, il litorale di Silvi e a destra quello di Montesilvano, oltre il fiume Saline, verde di giunchi e canneti. Arriva a tratti dal mare un vento carezzevole che porta il sapore di salsedine e gli odori delle piante in fiore sbocciate con l’arrivo d’una primavera insolitamente più calda. Già qualche vela trapunta l’azzurro orizzonte dell’Adriatico. Siamo sulla Marina, perché Città Sant’Angelo è più su, in collina, distesa con le sue belle case di mattoni rossi sopra un crinale. E’ uno dei Borghi più belli d’Italia, contornato di campi imperlati da nodose piante d’ulivo e fecondi vigneti, che donano olio e vini di riconosciuta eccellenza. Terra d’antica presenza dei Vestini, popolo italico insediato di qua e di là della catena del Gran Sasso, Angulum secondo un’antica citazione di Plinio il Vecchio, di cui testimoniano vestigia archeologiche rinvenute tra le foci del Piomba e del Saline, Città Sant’Angelo è oggi una bella cittadina di oltre 15mila abitanti che ha attraversato secoli di storia, lasciando tracce significative ed interessanti. Ne fa mostra la bella Chiesa di San Michele Arcangelo, la cui origine è anteriore all’anno Mille, poi ricostruita nel Trecento. Magnifica facciata e uno svettante campanile, mentre all’interno resti alto-medioevali impreziosiscono il tempio. Numerose e belle chiese (S. Chiara, S. Bernardo, S. Francesco, S. Agostino, S. Liberatore, ed altre minori) risplendono nella stupenda architettura del Borgo, contornato da magnificenti mura urbiche dotate di quattro Porte. Il Borgo merita davvero una visita accurata. Sommarie annotazioni, queste, solo per accennare al contesto d’un incontro che sempre riserva interesse e sorprese. Siamo qui per incontrare un’artista abruzzese di spiccata genialità, di grande talento e versatilità. Daniela Musini è un’artista davvero poliedrica: scrittrice, musicista, drammaturga e attrice, studiosa di Gabriele d’Annunzio. Geniale interprete delle opere del Vate. La sua penna feconda e il suo eclettismo teatrale ha riservato, tra l’altro, una particolare attenzione ad alcune donne singolari, o eccezionali, della storia: Cleopatra, Messalina, Lucrezia Borgia, Madame de Pompadour, Mata Hari, Eleonora Duse. Ed ora Maria Callas. L’ultimo suo lavoro di scrittura teatrale, che s’aggiunge a Saggi di grande successo, è appunto “Maria Callas, la Divina”, un monologo che presto andrà in scena a Busseto, nel Festival verdiano, con un’eccezionale anteprima abruzzese, nel Teatro Comunale di Atri, il prossimo 7 aprile. Siamo qui per parlarne con Daniela Musini, per saperne qualcosa in più di questa nuova avventura d’autrice e interprete teatrale. La conversazione con Daniela è sempre intrigante, facondo il suo eloquio, dense di fascino le pause, le pose del volto, la gestualità misurata, l’espressività dei grandi occhi verdi. In fondo poi tutto si tiene, perché parlare con lei è sempre piacevole e rivela un mondo interiore ricco di sensibilità umana e di raro talento artistico. Ma ora parliamo un po’ di Maria Callas, rivolgendo a Daniela Musini alcune domande con questa intervista. “Maria Callas, la Divina” è il nuovo lavoro teatrale che hai scritto e che interpreterai sulle scene italiane ed internazionali. Daniela, come è nata l’idea di un monologo su Maria Callas? «Maria Callas è presente nella mia vita fin da bambina, grazie a mio nonno Mimì che adorava la Lirica e che è stato colui che mi ha iniziato alla Musica. Da piccola avevo paura del buio e poiché la mia cameretta era adiacente alla cucina, lui la sera si metteva accanto alla grande radio e, girando le manopole, andava alla ricerca di Puccini, Bellini, Verdi, soprattutto delle arie da lei cantate. “Vissi d’Arte vissi d’Amore” da “Tosca” o “Casta Diva” da “Norma”, interpretate proprio da Maria Callas, sono state le mie ninne nanne. Se ho scritto questo monologo, la motivazione va ricercata non solo per celebrare i 40 anni della morte della Divina Callas, ma anche per rendere omaggio a quel mio nonno così sensibile, amorevole e così determinante nelle mie scelte artistiche. La Callas è un’icona della Lirica, idolatrata ancor oggi da milioni di persone. Non ti spaventa cimentarti in un ruolo così impegnativo? Ne sono terrorizzata, ma anche entusiasta. Mi piacciono le sfide ardue, difficoltose, coraggiose. Mi sono accostata al suo personaggio con umiltà, dedizione, impegno. Così come avevo fatto per un’altra “divinità”, Eleonora Duse, che ho interpretato in tutto il mondo. Il metodo di approccio è stato lo stesso. Ho letto molto, studiato tanto, e nel caso della Callas, ascoltato tantissimo, per cercare di compenetrarne l’essenza artistica, lo smisurato ed inarrivabile talento, ma soprattutto la sua anima ferita e dolente, intensa e drammatica. Lei è stata una donna coraggiosa, passionale ed intensa di cui ho cercato di raccontare, sia nel testo, come pure nell’interpretazione che ne darò a Teatro, la sua anima, rendendone tutte le sfumature temperamentali: la mia sarà una Callas appassionata e sensuale, sarcastica e tragica, ironica e irruenta. Spero di coinvolgere ed emozionare, anche grazie all’intelligente e coinvolgente regia di Federica Vicino.
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