Amarezza per tutti gli sforzi profusi in questi anni da parte dei promotori e sostenitori dell’associazione che gestisce la biblioteca, il presidente Stefano D’Apa,la vicepresidente Raffaella Crupi, la responsabile della Biblioteca Aurora Corso e il direttore Luigi Cariddi, i quali hanno vissuto questa sfida, con passione e coraggio. Una sfida contro l’indifferenza, un atto titanico in una realtà sociale che ha sete di credere in se stessa, ma destinato a “inchinarsi” al fato. Il territorio perderà un punto di riferimento dove l’incontro con il libro e con i libri era un’importante occasione per incontrarsi, discutere e dibattere sul futuro di questa terra e sui valori, non solo di carattere artistico e letterario, ma anche etico-civile, che ha significato occuparsi dei problemi della “polis”, per contrastare ogni forma di decadenza e degrado. Eppure le istituzioni ipocritamente invitano i cittadini a lottare per difendere la dignità, per esprimere in modo libero e democratico il proprio pensiero, non abbassare la testa e chiudersi nel silenzio di fronte alle ingiustizie, alle prepotenze e ai soprusi. La comunità di Limbadi è costantemente identificata come culla del clan Mancuso e gli organi della Stato spendono tantissime energie per indagare e reprimere le loro attività; per questo motivo da diversi decenni questo territorio è stato considerato come ad alto inquinamento mafioso, facendo passare un’immagine negativa e incutendo paura e timore nell’opinione pubblica, con gravi danni per i tantissimi cittadini onesti e responsabili del bene comune. Eppure che risposte ci sono state da parte delle istituzioni di fronte alle richieste di chi vuole ribellarsi a questo destino cieco cercando di diffondere la luce della cultura e dei valori democratici?
La risposta è sempre negativa: è meglio reprimere, lasciare la comunità in balia delle forze oscure, che restino isolate quelle sensibilità che tentano di invertire la rotta, piuttosto che aiutarli a ritrovare fiducia e rinnovato impegno per rafforzare gli anticorpi sociali al male. Il caso della Biblioteca Salvatore Corso è emblematico. Non può che essere letto attraverso questa chiave interpretativa: noi cittadini che abitiamo queste località, dobbiamo assuefarci alla disgregazione umana e sociale e partorire “i fiori del male”, mentre per il bene dobbiamo affidarci a qualche Santo che sia ancora disposto a perdonarci. Una comunità che non ritrova la fiducia, che viene deprivata di quelle risorse fondamentali per credere nel proprio riscatto e nel proprio futuro – e la stampa e i media non fanno altro che alimentare il “mostro” perché sono molto sensibili alla luce della cronaca nera e a tutto ciò che si colora di crimine, mentre l’impegno per il bene comune e per la crescita democratica è messo in ombra – non può far altro che rassegnarsi alle brutture e alla desolazione. Basti aggirasi nei centri abitati del comune: strade preda delle buche e delle sterpaglie, inquinamento ambientale, alta disoccupazione giovanile, mancanza di prospettive e tanti giovani che desiderano – o sono costretti – a fuggire, amministrazione comunale affidata nelle mani di un commissario, strutture pubbliche in abbandono. Questa è la carta di identità di un comune emblema della condizione dell’homo Kalabrus nell’era di Lorenzi il Magnificus. Eppure i figli di questo strano esemplare di “homo” baciato dalla “fortuna”, fanno parte dell’Italia e dell’Europa e vorrebbero avere le stesse opportunità che hanno i figli di tutti gli altri cittadini, e non essere vittime predestinate di pregiudizi, discriminazioni, ed espiare colpe altrui.
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