Il sogno, luogo dell’anima

Il sogno, luogo dell’anima Di Vincenzo Calafiore 15 Giugno2017 Udine “ se ami una donna, devi amarla come la musica conoscere le note, gli accordi… farne uno spartito e non importano le parole ma che sia una bella melodia.. “ ( 100 pagine in una ) Saperti da qualche parte della mia notte e non poterti raggiungere, sentire nell’aria il tuo profumo diffuso e non sapere da quale parte andare per trovarti per raccontarti di me, della solitudine dentro una conchiglia, del silenzio di albe mute. A volte credo che tu non esista o che sei un luogo dell’anima, a cui voglio sempre andare. E’ di sogno che si tratta come l’Amore, che è sogno e come tale rimane addosso. L’Amore che leva il sonno e regala sprazzi di cielo sereno. Amarti è un sogno ricorrente di tutte le notti. Non è una questione sessuale, assolutamente no; semmai questo sarà la parte conclusiva l’unione di due corpi come fosse una lunga promessa d’amore che si rinnova. Ma è la felicità di baciare e di accarezzare, avvertire il contorno delle labbra che s’increspano come fosse mare, chiudere gli occhi e lasciarsi andare fino in fondo, fino al luogo dell’anima. E non solo, rimanere a letto con te anche solo per parlare è già di per se un gran bel sogno, sentirti fremere e vibrare è come sentire il vento nei canneti… Ma io non sono più qui, da troppo tempo ormai agonizzo per una malattia mal conosciuta e che non si sa curare. Mi hanno rimesso assieme i pezzi per sopravvivere e questo è, mi assicurano una grande fortuna. Ma loro, gli altri prigionieri come me, gli altri morti vivi? Quelli che ho incontrato nelle mie solitarie traversate dell’anima, nei sogni distrutti, negli amori mancati? Quelli che mi hanno incantato, quelli che mi hanno lasciato, gli umiliati anni di una rivoluzione mancata e che del tutto facilmente mi hanno già tradito? Quei sogni perduti, quelli che spariscono per sempre, quelli che non saranno mai un luogo dell’anima? Quelli dei nuovi profeti o dei nuovi Vel d’Hiv e delle Dacau moderne? Ogni notte lotto contro la mia malattia che mi leva le parole, della mia condizione nella quale e contro la quale vivo e scrivo. Spero un giorno che si possa incontrarci io e te e ti narrerò di me, non per il piacere di raccontare, ma perché l’amore non si deve dimenticare. Mi piacerebbe che tu leggessi dagli occhi miei le mie favole, anzi vorrei proprio che li leggessi. Spiegarti che io non sono uno scrittore di professione, che a volte la mia fantasia non riesce a trovare una grammatica, spiegarti che io sono sempre vissuto ai bordi di strade, nelle piazze, che come sogni al mattino si dissolvono nella brevità del battere di ciglia. Che ho sempre vissuto nelle galere e qui ho incontrato migliaia e migliaia di persone dalle quale ho appreso cose meravigliose, amore meraviglioso che mi sono portato dentro e che ho e continuo a raccontare a quelli con cui mi trovo bene, a te che ti amo; storie meravigliose che ho cominciato a scrivere durante i lunghi anni di isolamento totale nel corso della mia lunga detenzione in questa moderna Dacau. Ho voluto scrivere perché era un modo mio per essere ancora insieme alla mia solitudine, un modo per ricongiungermi con te, con i miei morti, donne, vecchi, barboni, artisti di strada, mendicanti, pazzi, che come me sapendo amare vorrebbero amare. Dentro questa condizione, contro questa condizione.