Come fossimo noi mare

“ Come fossimo noi, mare “ Di Vincenzo Calafiore 09 Maggio 2017 Udine ( Da: Le chiavi di casa) “ come fossimo noi mare.. “ Calafiore Vincenzo Era più o meno di Maggio quando ci siamo incrociati sul lungo mare, tu avevi in testa una montagna di capelli lunghi e ricci legati con un nastro di colore blu, quasi come ai tuoi occhi e due labbra rosse assetate e dissetate dal cono gelato, ti sedesti su una panchina di ferro lucidato da gonne e pantaloni, a guardare il mare e pensavi chissà a cosa. Io da uno dei cannocchiali utilizzati per guardare il mare o lo stretto dei traghetti e delle navi, Messina, invece guardavo te, più che altro i tuoi occhi, i tuoi capelli. A un certo punto devi esserti accorta del mio cannocchiale puntato su di te, mi hai guardato con disappunto e te ne sei andata via, io ti ho seguita fino a quando il cannocchiale ha smesso di funzionare, ti avevo perduta. Io nel frattempo avevo lasciato la “ Chianalea”. Ma per la gente come me innamorata del mare e delle proprie origini, quei legami non si sciolgono mai, è un legame col mare infinito. “ L’Aurora” un vecchio barcone da pesca che ha solcato in largo e in lungo il Canale di Sicilia a pescare aveva le fiancate dipinte di bianco e blu e fu compagno fedele del suo padrone che ne aveva cura. Poi un giorno rimase ormeggiato nel porticciolo, restò lì per mesi fino a un anno; quando venne trainato fuori dal porto dal nuovo padrone che dopo averlo modificato lo usò per contrabbandare ogni cosa. Questa vita sua durò fino a quando venne catturato e posto sotto sequestro e abbandonato all’ormeggio a un pontile di un porto; si persero pian piano i colori, l’acqua piovana poi cominciò ad allagarlo internamente, il suo cuore era andato tutto in ruggine. Ubbidendo al forte richiamo del mare appena potevo scappavo da Udine per raggiungerlo; in una di queste fughe passeggiando sul molo lo vidi “ Aurora” e sono salito a bordo. Nonostante le sue precarie condizioni di “ salute “ mi piacque molto e ci tornai tutti i giorni della mia vacanza, quando venni fermato dalla guardiamarina che dopo fatta conoscenza mi dissero che tutte quelle barche sarebbero state messe all’asta e vendute a peso di rottame, quelle non vendute andavano distrutte. Il giorno dell’asta ero lì, presente e preoccupato, alla fine fu mio, ero riuscito a comprarlo. All’alba scendevo giù al porticciolo e dopo aver fatto tutte le verifiche scioglievo gli ormeggi e me ne andavo al largo, in mezzo al canale di Sicilia a pescare. In realtà lasciavo “ Aurora” alla deriva e da un’amaca ascoltavo Giuseppe Verdi, Bellini.. tenendo d’occhio l’orizzonte; di tanto in tanto, riaccendevo il motore e ritornavo in dietro e prima di rientrare ormeggiavo davanti a “ Chianalea” per tuffarmi in mezzo a quel blu, come fosse vita. Una mattina di un’estate infinita, all’ombra della pensilina leggevo e ascoltavo la musica, quando la barca ebbe un lieve sussulto piegandosi lievemente su un lato, salisti a bordo per rituffarti in acqua, era il tempo di “ Sapore di sale… “ . Tornasti a salire a bordo abbronzata e perlata dentro quel costume rosso che risaltava i tuoi seni, con i tuoi occhi grandi e profondi come quel mare davanti a “ Chianalea” ti sei seduta vicino al cassero con la testa appoggiata alla porta e sei rimasta lì ad ascoltare la musica; come ci conoscessimo chissà da quanto tempo … cominciammo a parlare, così tra un tuffo e un bicchiere d’acqua così fino al tramontar del sole senza accorgersi del tempo che era scivolato su noi silenziosamente quasi a non farsi sentire. “ Perché mi guardavi con il cannocchiale”? Mi chiese all’improvviso come se l’avesse appena ricordato. “Guardavo il mare… “ ! Rispondo, sorpreso… “ Si, guardavi il mare che c’era alle mie spalle….” ! Aggiunse, mentre si metteva in ordine per fare ritorno a casa. “ Si, il mare nei tuoi occhi “ … La cosa più bella che possa capitare a un uomo è quella di trovarsi nel mese di maggio in mezzo allo stretto, all’alba o al tramonto, e sentire in se il respiro del mare, restare incantati da una bellezza straordinaria. Ma oltre ciò dalla poesia che suscita quel tratto di mare stretto tra Scilla e Cariddi, attraversato da gabbiani che vanno a pescare nel porto di Messina e tornano a Scilla al tramonto. Il Canale o lo Stretto, da guardare e da sentire dentro e negli occhi affinchè ci sia cultura, musica, danza, colore, luce. Lo Stretto che non separa, ma avvicina e accomuna come un immenso crogiuolo di lingue e dialetti, odori di cucina, di gelsomino, di fichi, odore di salsedine sulla pelle e salsedine agli orli di labbra e occhi come fosse neve, come fosse bava del mostro che vomitò Ulisse con tutta la sua barca. Mare che parla greco e riporta gli echi di lontani Sirtaki, come fosse armonia, come fosse cielo dentro i palmi di mani ruvide tagliate dalle reti, mani bruciate e arse dal sole come sabbia, come terra. Allora è qui che avrei voluto restare, in quella scorciatoia tra vita e morte, che brucia dentro, che ti porta via, che ti fa innamorare come una donna di cui non potrai più farne a meno, perché essa è fuoco dentro che arde e cova, è distanza accorciata dalla melodia della risacca è Ulisse, Itaca è Poeseidone, Nausicaa è cimitero, è Amore, Vita. E’ come fossimo noi mare.