“Il mustang e la piccola stella del mattino”: il racconto del sogno di libertà di un giovane Lakota non ha confini

La condizione attuale dei nativi americani che vivono nel South Dakota raccontata nel romanzo  “Il mustang e la piccola stella del mattino”, frutto della diretta espereinza che ha fatto la scritrice Lucia Groe (docente dell’Università della Calabria). Sarà presentato lunedì 22, ore 17, nell’Aula magna dell’Ipseoa “Gagliardi” per la ricorrenza della “Giornata mondiale della terra”.

 

Lunedì 22 (alle ore 17) nell’Aula magna dell’Ipseoa “E. Gagliardi” di Vibo Valentia, è prevista la presentazione del romanzo “Il mustang e la piccola stella del mattino” (2022, “La bussola edizioni”), scritto da Lucia Groe. L’iniziativa (in collaborazione con l’associazione Sentiero Rosso Onlus) rientra nell’ambito del progetto “La terra racconta” organizzata per la ricorrenza della “Giornata mondiale della terra” con la partecipazione del Corso serale dell’istituto e degli studenti del Convitto annesso. Il romanzo focalizza l’incontro tra due culture e visioni del mondo. E’ uno specchio in cui riflettere le categorie concettuali e linguistiche con cui ci rapportiamo all’Altro. In particolare emerge la questione relativa all’identità dei popoli nella storia e nei luoghi in relazione alle “civiltà” dominanti. Un tema di assoluta attualità in un contesto globale in cui la memoria, le tradizioni e la storia millenaria di cui sono portatori le civiltà preindustriali (Pier Paolo Pasolini, nei primi anni Settanta ne aveva drammaticamente denunciato la distruzione con la mutazione antropologica indotta dall’ideologia dei consumi), stanno rischiando di essere cancellati in un breve lasso di tempo di fronte “al diabolico progetto della globalizzazione di tutti i cervelli” come aveva dichiarato 20 anni fa Tiziano Terzani prima di spegnersi (2004), immaginando quale il destino dei giovani: “Perché la globalizzazione non è un fenomeno soltanto economico ma anche biologico, in quanto ci impone desideri globali e comportamenti globali che finiranno per indurre modifiche globali nel nostro modo di pensare. Il mondo di oggi ha bisogno di ribelli, ribelli spirituali.” (discorso in occasione del matrimonio della figlia Saskia, nell’opera Tiziano Terrzani, Un’idea del destino). Si può affermare che la storia delle civiltà precolombiane sono lo specchio in cui si riflette la nostra sorte (come europei ma soprattutto come eredi della civiltà mediterranea, come aveva intuito Albert Camus in L’uomo in rivolta, codificando il “Pensiero meridiano”) e quindi è necessario guardarla, scrutarla, maturarla, scevri da ogni pregiudizio e decostruendo le sovrastrutture ideologiche, antropologiche, linguistiche e cognitive che hanno profondamente manipolato la visione del mondo, se non vogliamo vivere lo stesso destino di quei popoli, come una sorta di nemesi storica. nel celebre Discorso del Pil di Robert Kennedy (18 marzo 1968, tre mesi prima di essere assassinato) è sintetizzato in modo mirabile cosa si porta dietro e dentro il modello capitalista: la distruzione della bellezza dei sentimenti umani, del coraggio, della giustizia, della solidarietà, dell’armonia delle famiglie, della poesia: il Pil “misura tutto eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”. Il Pil è la più grande menzogna che sia mai stata costruita e continuamente viene presentato come verità da eminenti economisti e luminari delle “magnifiche sorti e progressive” che il sistema di marketing mediatico oculatamente omologato nel linguaggio, nei palinsesti televisivi e radiofonici e nell’agenda setting dell’informazione “ispirata” dai poteri plutocratici e “filantropici”, seleziona e propaganda. lo vediamo oggi in atto sui diversi teatri di guerra: la distruzione e il massacro di esseri umani fa crescere il Pil delle industrie della morte (belliche) e degli Stati, e a catena di tutte le altre industrie che lucrano sulla distruzione, il cui fine non è certo il bene dell’umanità.

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Lucia Groe è una docente dell’Università della Calabria (Sociologa dell’ambiente) con la passione per la storia e la cultura dei nativi americani. Il romanzo che verrà presentato è stato finalista al premio Letterario internazionale Victoria 3.0, con una segnalazione speciale ex aequo da parte della giuria.  Il libro che è frutto di una esperienza diretta, può essere anche letto come un documento storico-antropologico della realtà in cui vivono le tribù indiane eredi delle civiltà precolombiane, e lo si può collocare nella narrativa impegnata di matrice illuminista (romanzo di formazione e di ricerca) in cui la protagonista va sul campo per illuminare una vicenda tragica, come quella dell’attuale condizione sociale ed esistenziale degli indiani d’America, che nella storiografia ufficiale è stata rimossa o obliata, o addirittura mistificata da parte dei conquistatori. Basti soltanto riferirsi alla filmografia che è stata prodotta sul tema per rendersi conto come l’immagine dei nativi americani sia stata volutamente stravolta.

Scrive il vescovo spagnolo Bartolomé Las Casas al termine della sua vita (1566) nel suo testamento (la citazione è riportata da Tzevetan Todorov ne l’Epilogo de “La conquista dell’America”: “Credo che, a causa di queste opere empie, scellerate e ignominiose, perpetuate in modo così ingiusto, barbaro e tirannico, Dio riverserà sulla Spagna la sua ira e il suo furore, giacché tutta la Spagna si è presa la sua parte, grande o piccola, le sanguinose ricchezze usurpate a prezzo di tante rovine e di tanti massacri”.  Ma non solo la Spagna si è macchiata di orrendi crimini, del più grande genocidio che sia stato mai compiuto. Lucia Groe esprime il suo punto di vista e lo spirito con cui ha proiettato la “poetica” del romanzo:

“I dettagli storici, le testimonianze, non bastavano per rendere solida e inequivocabile la brutale mattanza dei popoli del nuovo mondo: in 500 anni di storia, 100 milioni di nativi americani morirono a causa dei colonizzatori. Per la storia della cultura occidentale gli ebrei furono le vere e riconosciute vittime dell’olocausto. Lucy non poneva la questione dei nativi americani come un gioco al rialzo dei torti subiti, come una rilettura del genocidio. Non avrebbe mai potuto farlo. Anche lei, come tanti, aveva nella propria linea genealogica chi si era opposto alla barbarie del fascismo e del nazismo perdendo la propria amata libertà. Non aveva imparato solo dai libri di storia che cosa avesse significato la supremazia di una ideologia discriminatoria e abietta. I racconti all’interno della sua famiglia la ponevano come uditrice privilegiata di accadimenti e fatti che avevano impresso in lei il valore della giustizia e dei diritti umani. Per tale ragione poneva accanto alla disumanità della shoah quella avvenuta in un’altra parte del mondo sconosciuta a molti. Era consapevole che la vicinanza geografica e temporale dei fatti storici europei rendeva le persone più sensibili verso una pagina di storia che evocava una ferita ancora aperta, ma trovava corretto dare voce ad una veridicità storica fin troppe volte obliata e dimenticata. Non riusciva, nonostante la sua accalorata esposizione dettagliata, a far passare un messaggio che le si contorceva nella gola ogni volta: la malvagità agisce nei tempi come una costante forza. Non importava se si trattasse di indiani americani o ebrei, in ogni epoca un gruppo di uomini organizzati riusciva ad accanirsi contro un altro e controllarne le sorti, persino la vita.”

Il romanzo racconta la storia di Michael e Lucy. Lui è un Lakota che vive in riserva e lavora con i cavalli, lei è una ricercatrice italiana che grazie ad un progetto di ricerca si trasferisce a Rapid City. Si incontrano in un ranch nelle Black Hills e innamorandosi si imbattono nelle loro profonde diversità. Su di loro grava il peso storico del forte impatto che la cultura europea ebbe sulle sorti dei nativi americani. E’ una storia che racconta dell’amore che unisce laddove la discriminazione separa, e dei ritorni che tentano di riparare l’errore. Fanno da sfondo i paesaggi maestosi del South Dakota in cui si scorgono i disagi e le difficoltà socio-economiche delle riserve indiane d’America.