Paura di amare

13239411_10154230547058147_6313948859065132331_n Paura di amare     Di Vincenzo Calafiore 26 giugno 2016 –Udine <<  … non aver paura di dirlo a una donna quel -ti amo- ! Dillo e sentirai in te una nuova vita che non conosci e lei invece conosce già te! Dillo con tutta la tua paura, dillo che l’ami e sarai un uomo che danza un flamenco a mezz’aria, come un aquilone sopra nuvole, sopra cielo, trattenuto da un invisibile filo lungo tra cuore e anima! >>                                                                                       Vincenzo Calafiore   Del mio portolano, del ‘96   C’è da sentirsi soli poi, quando ritorna dentro quel mare che si agita e sconvolge ogni cosa fino a ieri quasi certezza; è l’amore! L’amore che fa paura quanto la sua vastità, le sue profondità. Eppure io non ho mai detto a una donna – ti amo –  tanto mi metteva addosso paura solamente pronunciarlo. Ci sono stati giorni felici ed era una felicità a me nuova ero come una barca nel suo incontrare il mare per la prima volta, non capivo perché il mio cuore batteva tanto da dolermi, non sapevo che quel dolore fosse amore, così cominciai ad assaporarlo, a farne pane di cui nutrirmi negli anni a venire. Poi lei ancora di verginale età, si presentò una mattina d’estate davanti agli occhi miei con i suoi, ed io pensai che fosse lei quella che da tempo inconsciamente cercai in tutte quelle donne che ho avuto, fiori che duravano solo una notte. Io già ero in cammino da molti anni prima, portando a termine il mio viaggio più di mare bastardo che di mare calmo, sono state traversate dell’anima che hanno lasciato i loro segni; non c’era più mare, non c’era orizzonte quando lei si allontanava dai miei occhi, quando non avevo il suo respiro addosso, quando non c’era il bianco dei suoi denti dietro labbra di rosa. Quel ti amo una sera d’agosto glielo consegnai su punte di labbra che si univano per la prima volta calde, gonfie di desiderio. Lei quasi sogno. Il mare una notte salendo fino al mio rifugio mi portò via sempre più distante, sempre più lontano, sempre più solo su rotte a me sconosciute sempre lottando per tornare a lei che già a un altro aveva donato ciò che apparteneva al mio cuore. Non c’era più mare, non c’era peccato. Certe cose riescono a macinare piano, stritolano lasciando solo il necessario vivere, così tutto assume la tonalità grigia, e non c’è più voce, né cuore. Si spalancano deserti inimmaginati senza vento. Non ci sono più parole né occhi che illuminano il buio come le stelle il cielo. Si fa presto a dire a una donna “ ti amo” a volte con facilità sconcertante, ma amare una donna è così difficile, amarla è un infinito di altre cose, di altri mare da esplorare è andare oltre lo stesso amare. Così lei all’improvviso giocando di sogni s’avvicina e torna in me la paura di trovarmela davanti agli occhi che ancora l’hanno cercata come Ulisse la rotta per tornare a Itaca. E’ un amore che si scolora appena ci si allontana, è un giorno senza sole se l’animo non prova quel dolore. Allora lo dico quel – ti amo – ora in questa età mia di fine settembre, lo dico mentre il mio cuore ricomincia ad impazzire assieme alla mia vecchiaia puttana che se appena chiudo gli occhi sottrae ore, sottrae amore. Ora, io ti amo.