Giorgio Tirabassi è un coinvolgente coatto

Dal 19 gennaio il Teatro Sala Umberto ospita:  Coatto Unico Senza Intervallo interpretato, diretto e scritto da Giorgio Tirabassi. Concepito 15 anni orsono come “Coatto Unico” da rappresentare nel carcere di Rebibbia e nelle periferie romane, nel corso degli anni lo spettacolo è stato rivisitato e arricchito di titolo e di nuovi personaggi che lo hanno accompagnato in giro per i teatri. Assistere alla rappresentazione significa immergersi “a pieno” nel quotidiano asfittico e desolante della ripetitività della vita trascorsa nella borgata.  I personaggi raccontati da Giorgio Tirabassi trasmettono, per lo più, la stanchezza per una vita “coatta” (costretta) agli stessi luoghi, a situazioni e amici di sempre con i quali si finisce irrimediabilmente a condividerne discorsi e sogni come quelli per una semplice vacanza alle Seychelles. L’attore per l’intera durata dello spettacolo riesce a calare ogni singolo spettatore nel disagio urbano che ogni personaggio a cui dà voce, vive. Da qui il passo a fare comprendere e talora giustificare nell’ intimo le reazioni umane esasperate è quasi obbligato. D’altronde come non riuscire a condividere l’amara/esilarante richiesta di “Nello” anche per il compare “Rufetto”, maldestri rapinatori, di essere “scancellati” dal Grande Libro del Destino? Condannati a fallire in tutte le loro imprese trascinano con la sola narrazione e mimica degli eventi il pubblico in sala in implacabili risate. E ancora come non arrivare quasi a simpatizzare con “Arcangelo” detto “Angioletto” che approfitta nei frequenti momenti di distrazione dello Stato a vivere con più pensioni e parcheggio abusivo? La scrittura e la recitazione sono accompagnate per tutto il tempo da suoni e parole in blues, rap e stornello che ne esaltano le doti musicali dell’attore e confermano al pubblico quelle al contrabbasso del musicista Daniele Ercoli e alle percussioni del collega Giovanni Lo Cascio. Tutti instancabili compagni di lavoro, in un atto unico senza intervallo, riescono a ritmare la semplicità dei ritratti umani dei meno fortunati con un’inesorabile lentezza della macchina burocratica statale che li condanna ad una vita da “coatti”.