Il gomitolo di lana cruda

Il gomitolo di lana cruda Di Vincenzo Calafiore 07 gennaio 2016-Udine “ dedicato a tutte quelle donne deluse e lasciate affinchè trovino il coraggio di rialzarsi guadagnando libertà e onore, dignità. Auguro loro di trovare sempre la forza di tornare ad amare e essere amate. “ Era già nell’aria la tristezza, più nelle parole che parevano emergere da un nulla in cui erano rimaste prigioniere per tanto tempo e non dalla mia mente. Poi chissà come o forse per un forte desiderio di fare quel qualcosa più volte rimandato, cioè quella di mandarti al diavolo. All’inizio quando c’eravamo conosciuti, tutto mi era bello e dolce, cominciavo a sperare in un futuro assieme, disegnavo la nostra casa, come sarebbe stata; disegnavo la mia vita assieme alla tua e mi sentivo la donna più felice del mondo: avevo un uomo tutto per me con cui condividere tutta una vita. Questa lettera è per te, per raccontarti quello che tu eri e che sei diventato, per raccontarti l’errore che hai fatto andandotene via senza una parola, come un ladro, come un vigliacco. Era evidente che c’erano delle cose che non capivo e io innamorata com’ero non diedi ascolto a quella vocina di dentro che sussurra all’anima. Così si offre il lamento di un cuore ferito, è come quello del mare e del suo infrangersi contro gli scogli, l’agonizzare lento di una storia ormai finita che restituisce materia di segreti con un’ esile e impercettibile traccia di felicità per questa inedita conclusione. Ma nell’asserare denso del giorno nuovo mi sono resa conto su quanta fragilità le sue fondamenta l’amore pone, e mi sento una sciocca, che quasi stava cedendo la sua libertà. Sapessi quanta nostalgia ho del tempo mio sciupato con un uomo come te, che non merita; un uomo incapace di amare perché non conosce cosa voglia dire, che non sente alcun desiderio diverso, dal chiudersi entro i suoi recinti, le sue latitudini, le longitudini sui scorre la sua vita, ove ama solo se stesso. E’ vero ho sbagliato tante volte e questa volta non me la perdono. Ma ci sono uomini che non hanno mai deluso la propria donna, uomini che hanno e sanno ancora amare; vedi, il matrimonio è la coniugazione dello stesso verbo, ma è anche una navigazione in mezzo a oceani di difficoltà, di burrasche e di mare calmo. Festeggiare un sessantesimo di matrimonio è come aver superato per i naviganti Capo Horn e tu come tantissimi oggi alla prima onda bastarda ti sei gettato in mare per salvarti sulla prima riva, abbandonando barca e compagna di navigazione. Non sei stato e non lo sarai mai un buon navigante, forse potrai essere tutto al più un uomo che ha paura del mare della vita, sei niente, indegno di essere “uomo” o “ navigante”, in entrambi i casi sei un – mezzo marinaio – banale e casuale, ipocrita uomo di mezza tacca. Guardandomi allo specchio e pensando al tempo che ho sciupato standoti accanto, mi sento una cretina, una sciocca donna che ancora adesso nonostante gli errori crede nell’amore, che sa coniugare il verbo amare non a memoria, ma con passionalità, con vita.