Federico Valicenti chef ambasciatore della Basilicata

Solo qualche giorno fa a “Letti di sera” ha nuovamente entusiasmato, non solo prendendo per la gola. Del resto, solo un “cibosofo”, è in grado di giocare con le parole sparse sul tavolo e poi invitare ad assaggiarle, a gustarle o magari a buttarle vie e cancellarle dal palato. Lo chef Federico Valicenti, fresco dell’ultima “chiocciola” di Slow Food”, dell’ingresso nella Guida ristoranti Espresso 2016 (in Basilicata solo cinque locali) che si aggiungono ai tanti riconoscimenti per la sua “Luna Rossa” di Terranova del Pollino,, per il Centro Studi Turistici Thalia, della serie (quasi nessuno) è profeta in patria, è lo chef 2016 ambasciatore della Basilicata. Del resto, il suo pensiero (“La ricetta è tradizione, la preparazione è tipica, il cibo è topico, la cucina lucana è la tavola di tutti”) sintetizza meglio di un fiume di parole la sua arte e la sua passione per il cibo e la sua cultura esportati in tutto il mondo. E se Francis Coppola dall’Expo2015 ha conquistato il titolo di ambasciatore della Basilicata da vedere, Federico Valicenti è l’ambasciatore della Basilicata da gustare attivando tutti i cinque sensi e soprattutto lasciandosi guidare dai suoi occhi magnetici e dal suo sorriso che esprime la sacra ospitalità lucana. A proposito del regista bernaldese-americano lo chef di Terranova ne parla con il suo linguaggio poetico: “Ecco la Basilicata che mi piace: vestita di azzurro come il cielo, con corpo di rotondita’ gaudente , su base di colori del sole infuocato e di luna al tramonto, occhi spiritati di perenne passione che scrutano con curiosita’ mai sazia tutto quello che riescono ad afferrare , incavati in un viso senza sofferenza intellettuale ; diradati capelli a scoprire la testa che raccoglie energie naturali di un mondo arcaico ma proiettato a guidarne il futuro. Ecco questa e” la Basilicata che mi fa vedere Coppola”. Dunque il cibo come un film racconta le identità del territorio. I turisti di oggi – dice Valicenti – sono cambiati, la gente nei luoghi che visita si propone una full immersion negli usi e costumi cercando di sentirsi partecipe, metabolizza le tradizioni, cerca ,attraverso il gusto, la conoscenza della memoria del luogo. Scrivendo Gli Atlanti della Tavola ho voluto creare un’emozione più conoscitiva del territorio attraverso le colture e la cultura che lo impregnano e che esprime attraverso la ricetta. Poi spiega la sua cibosofia: È il racconto dei territori, del loro pensiero attraverso il cibo. Grandi filosofi nella storia dell’uomo hanno usato il cibo e i prodotti della terra per raccontare la vita, per far comprendere quanto siano unite, più di quanto si pensi, la gola e il cervello. Il mondo ha bisogno di una nuova cultura del cibo, ha bisogno della cibosofia. Non solo gli atavici filosofi, ma anche quelli contemporanei hanno compreso che non esiste un futuro letterario con l’omogeneizzazione dei sapori perché attraverso la non cultura che questo mondo si porta dietro, si rischia anche l’omogeneizzazione dei saperi. Ma – sottolineano Piero Scutari e Arturo Giglio, presidente e segretario del Centro Studi Thalia -la “lezione” di Valicenti è più semplice di quanto si pensi: per mangiare bene non occorrono trucchi nè bisogna seguire una moda. Si parte dal territorio, dalla nostra cultura da quel che offre la nostra terra. Tipico vuol dire sano e di qualità: questo vale soprattutto per la Basilicata che custodisce tra le pieghe del paesaggio rurale un patrimonio di sapori e tradizioni unici e inimitabili, ma soprattutto inscindibili dal territorio. Il nostro ‘giacimento’ di specialità alimentari di qualità: appartengono alla Basilicata ben 77 prodotti agroalimentari DOP e IGP a riprova che il Made in Italy agroalimentare e con esso il made in Basilicata hanno un grande potenzialeSi tratta – continuano i dirigenti del Thalia – di alcune decine di prodotti agroalimentari tradizionali, che per volumi ed estensione territoriale non rientrano nei parametri delle Dop e delle Igp, ma che sono autentiche “calamite” per il turismo enogastronomico, un comparto che vale 5 miliardi l’anno. Eppure, di queste specialità della terra una su quattro è in via di estinzione, visto che attualmente è coltivata da non più di 10 aziende agricole che ne custodiscono la memoria.