Udine, 25 aprile discorso ufficiale del sindaco Honsell

Cittadine e cittadini friulani, da 70 anni liberati! Sindaci del Friuli, rappresentanti del popolo italiano e autorità che nell’essere oggi qui presenti condividete il senso della Festa del 25 Aprile: impegniamoci quotidianamente a far vivere il patrimonio di valori di libertà, di pari opportunità, di pluralismo e di democrazia che ci provengono dalla Resistenza, che fu in primo luogo “rivolta morale” contro il Fascismo, come l’ha definita il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del suo discorso alla Camera dei Deputati nel 70° della Liberazione. È un privilegio per tutti noi poter essere qui oggi, e in particolar modo per me. L’immaginazione di molti, penso, vada a quella famosa fotografia di Udine del 6 maggio ’45. Sì, immedesimiamoci in quei cittadini che gremivano questa piazza che allora aveva un altro nome e proprio per quella manifestazione acquisì il nome di “Piazza della Libertà”, per ascoltare il primo discorso ufficiale nella Udine Liberata rivolto alla folla dal sindaco Giovanni Cosattini dalla loggia del Municipio – Giovanni Cosattini parlamentare e amico personale di Matteotti, che subì innumerevoli violenze squadriste a Udine, ardente antifascista e presidente del CLN in città. Noi oggi celebriamo la Liberazione perché è l’evento collettivo più importante della Storia recente della nostra Patria ed è il fondamento della nostra Repubblica. Ma oltre a ricordare la storia, noi proclamiamo l’attualità insostituibile degli ideali resistenziali, gli unici ai quali possiamo ispirarci nell’affrontare le sfide immani della nostra contemporaneità: la recessione economica che scava sempre più tremende e ingiuste disparità tra i cittadini – le numerose guerre sulle altre sponde del Mediterraneo, la cui scia di sangue ormai ha cambiato il colore stesso del Mare Nostrum, che presentano alla nostra indifferenza e al nostro opportunismo eurocentrico coloniale e post-coloniale un conto spaventoso in termini di vittime e di profughi – e il consumo sfrenato delle risorse ambientali del pianeta che se non verrà arrestato avrà conseguenze spietate e inimmaginabili sulle generazioni future. A distanza di 70 anni dalla Liberazione, gli ultimi testimoni diretti di quella Lotta contro la barbarie nazifascista stanno ormai scomparendo. Ci hanno ormai lasciato personalità leggendarie per le loro coraggiose gesta in armi durante la Resistenza e per il loro straordinario impegno civile nell’Italia Repubblicana. Commossi ricordiamo con affetto Rosina Cantoni partigiana garibaldina, deportata, instancabile nel suo impegno nelle scuole, Paolo Pascoli partigiano osovano indimenticabile nella sua vibrante lettura in questa Piazza della motivazione del conferimento della Medaglia d’oro al Valor Militare alla città di Udine a nome di tutto il Friuli per la lotta di Liberazione, Giovanni Spangaro l’ardente ed eternamente giovanissimo partigiano della Repubblica della Carnia, Federico Vincenti uno dei pochissimi autenticamente Giusti, per decenni fermo e autorevole Presidente regionale dell’ANPI. L’ultimo a lasciarci qualche settimana fa è stato Luciano Rapotez, glorioso partigiano e autentico padre morale per molti di noi. E sottolineo padre perché proprio lui ebbe la famiglia distrutta per l’ingiusta detenzione che gli inflisse quell’Italia repubblicana per la quale aveva combattuto, ma che era ancora grondante di fascismo. Durante quella detenzione subì dai carcerieri torture per decine di giorni nel tentativo di fargli confessare un reato che non aveva commesso. Quanti di noi hanno ricordato in questi giorni i suoi appelli finora inascoltati affinché venga istituito finalmente nel nostro ordinamento giuridico il reato di tortura, in relazione alla condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo per i fatti della Caserma di Bolzaneto e della scuola Diaz durante il G8 del 2001! Ma tutti i partigiani andrebbero citati, anche i meno noti scomparsi questi anni: Ida Zambon, Bruno Zulian “Marco”, Aldo Mirolo “Giacinto”, Erminio Masiero “Neri”, Elio Martinis “Furore”, a ciascuno siamo debitori. Per decenni questi eroi ci hanno ispirato ed educato alla responsabilità civile, che è il senso autentico della lotta di Liberazione. Cari cittadini, nostro dovere non è solamente mantenere viva la loro memoria e con essa quella della Resistenza, ma impegnarci attivamente nell’antifascismo e nel far risuonare, finché avremo voce, il loro forte monito! Celebriamo la Resistenza intonando per tutti loro liberamente “Bella Ciao” in questa piazza!

Il 25 Aprile 1945 segnò la rinascita morale e civile dell’Italia. Segnò la Liberazione dalla feroce, ma moralmente squallida, dittatura fascista. Per oltre vent’anni, il Fascismo, con vergognose leggi liberticide, aveva privato gli italiani dei diritti civili e democratici, sopprimendo la libertà di stampa, di riunione, di espressione, togliendo ogni ruolo al Parlamento, ai partiti e ai sindacati, eliminando fisicamente gli oppositori. Il Fascismo aveva varato l’abominio delle leggi razziali e condotto l’Italia a una sciagurata guerra di aggressione imperialista alleata del nazismo, che portò i soldati italiani dalla Grecia alla Russia, fino a macchiarsi di crimini di guerra nella vicina Slovenia. Il Fascismo condusse infine alla cessione della sovranità sul Friuli e alla tragica deportazione nei campi di sterminio di uomini e donne, bambini e anziani, di chiunque non si fosse omologato. Ricordate la tremenda vicenda del Sindaco di Udine Elio Morpurgo, ebreo, morto durante la deportazione verso di campi di sterminio. Protagonista tragico della ferocia cannibale dei totalitarismi perché proprio lui era stato membro di punta del partito Fascista a Udine.

Con riconoscenza e ammirazione onoriamo i Partigiani! Erano tutti giovanissimi, e questo dovrebbe farci riflettere oggi, e furono eroi. Furono oltre ventimila: donne e uomini friulani, e sottolineo donne perché il loro contributo è stato a lungo tempo trascurato, che scelsero invece di non omologarsi, ma ebbero il coraggio di farsi carico del bene collettivo, smisero di essere sudditi e spettatori passivi per diventare attori responsabili, autentica espressione di sovranità popolare, resistendo, chi sulle montagne, con la Garibaldi e l’Osoppo, chi nelle città e in pianura unendosi ai Gruppi di Azione Patriottica, chi senza armi nell’intendenza Montes, la più grande organizzazione clandestina di supporto alla Resistenza in Italia. Questi eroi costruirono un punto fermo etico su cui puntellarci nel futuro di democrazia e libertà che immaginavano profeticamente. Il Friuli pagò quello slancio di dignità con oltre 2.600 morti, 1.600 feriti e 7.000 deportati.

Per celebrare degnamente il 70° anniversario della Liberazione sarebbe sufficiente recitare i nomi di questi caduti e leggere, almeno nelle scuole, le lettere dei condannati a morte della Resistenza. Vorrei ricordarne però almeno qualcuno. Luciano Pradolin, Goffredo, osovano, che scrivendo l’ultima lettera alla sorella fornisce un’interpretazione nuova ma drammaticamente calzante di un’invettiva all’Italia in una poesia di Leopardi. Ricordo Mario Modotti, Tribuno, il comandante partigiano della gloriosa Brigata Ippolito Nievo A, della divisione unificata Garibaldi-Osoppo, che dopo le atroci torture subite nella caserma Piave di Palmanova ebbe la forza ancora di svolgere fino in fondo quello che Elvio Ruffino, autorevole attuale presidente regionale dell’ANPI, chiama il “dovere di essere un eroe”, a cui quei giovani di allora ubbidivano. Ricordo Luigi Ciol, Resistere, che nell’ultima lettera alla madre parla di quell’idea “che nessuno la rompe” a differenza della vita. E infine ricordo Aulo Magrini, carnico, il “medico dei poveri” che quasi sente di giustificare, in una lettera scritta alla moglie poco prima di cadere in combattimento, il suo impegno in armi contro il Fascismo “per una società migliore”.

Cittadini friulani, dobbiamo far vivere alla città di Udine, insignita di medaglia d’oro per la Lotta di Liberazione, il ruolo di città simbolo della Resistenza in ogni occasione nella quale si debbano promuovere e difendere i diritti civili! Affrontando con coraggio tutte le istanze che ci pongono i cittadini, soprattutto quelli più deboli o discriminati, come quelle sul fine-vita o sul diritto a venir riconosciuti come coppie ancorché di diverso orientamento sessuale. Cittadini percorrete le strade e le piazze di questa città e riflettete sui nomi a cui sono dedicate: Renato del Din, Cecilia Deganuti, Mario Foschiani “Guerra”, Gino Pieri, Antonio Friz “Wolf”, e decine di altre. La nostra città è stata decorata di molte corone questi giorni presso tutte le lapidi che ricordano questi caduti. Visitate il Monumento alla Resistenza posto in quella Piazza XXVI Luglio, la data nella quale il Friuli divenne Italia, e meditate sulla frase di Calamandrei che ivi è scolpita: “Quando io considero questo misterioso e meraviglioso moto di popolo, questo volontario accorrere di gente umile, fino a quel giorno inerme e pacifica, che in una improvvisa illuminazione sentì che era giunto il momento di darsi alla macchia, di prendere il fucile, di ritrovarsi in montagna per combattere contro il terrore, mi vien fatto di pensare a certi inesplicabili ritmi della vita cosmica, ai segreti comandi celesti che regolano i fenomeni collettivi, come le gemme degli alberi che spuntano lo stesso giorno, come le rondini di un continente che lo stesso giorno s’accorgono che è giunta l’ora di mettersi in viaggio. Era giunta l’ora di resistere, era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini, per vivere da uomini”. Abbiamo formalmente chiesto, insieme all’assessore Pirone, che questo bellissimo monumento concepito dal grande architetto Gino Valle nel 1969, che simbolicamente infonde la fiducia che qualsiasi giogo, non importa quanto pesante, possa essere sollevato dal popolo facendo appello ai principi cosmici della nostra comune umanità, diventi Monumento Nazionale.

Il nostro debito di civiltà alla Resistenza partigiana è inesauribile. La Resistenza ci ha consegnato esperienze straordinarie come le Repubbliche Partigiane della Carnia e del Friuli Orientale, che anticiparono il nostro stato democratico e costituzionale, organizzandosi su principi di libertà, uguaglianza e solidarietà. Si diedero elezioni libere, aperte per la prima volta in Italia anche alle donne, promossero la tutela dei lavoratori, l’educazione pubblica e sancirono il valore di bene comune dell’ambiente. Per onorare la Resistenza friulana anche quest’anno ho voluto che il Manifesto del 25 Aprile, che viene affisso per le vie della città di Udine per celebrare la Liberazione, fosse scritto anche in Friulano. Il Furlan, propit par vie di chescj fats, al è une des lenghis de Resistence europeane. E chest pinsîr di libertât civîl al à di sburtânus a doprâlu. Propit la tutele des minorancis linguistichis e je un dai principis di fonde de Costituzion de Republiche taliane, nassude de Resistence.

La Resistenza non fu decisiva, sul piano strettamente militare, per sconfiggere il nazifascismo. Alle forze militari alleate va quindi in questo giorno tutta la riconoscenza per la riconquista della nostra libertà. Voglio ricordare, uno per tutti, Stephen Hall, che organizzò il presidio americano in Carnia e condivise con i partigiani la delusione del proclama Alexander, e fu trucidato dai nazisti in quel terribile inverno del 1944. Proprio per onorare il sacrificio dei tantissimi militari alleati morti per la nostra Liberazione deporremo una corona al cimitero inglese di Tavagnacco al termine di questa cerimonia. E non dobbiamo oggi dimenticare le sofferenze degli oltre 200.000 profughi istriani e dalmati che negli anni successivi alla fine della guerra, proprio a causa della barbarie scatenata da quella guerra criminale, passarono da Udine nel silenzio colpevole di tutti.

La Resistenza partigiana fu però decisiva per riscattarci da quel buio morale, da quella tragica banalità del male che genera e poi alimenta i totalitarismi come il Fascismo ed è fatta di passività, vigliaccheria, indifferenza, opportunismo, servilismo, cortigianeria e perbenismo. Fu solamente quella presa di coscienza collettiva dal basso che permise la nascita etica e civile della Repubblica Italiana. E voglio sottolineare la parola Repubblica, che spesso pronunciamo distrattamente e invece porta con sé l’impegno fondante di un nuovo patto collettivo di rispetto per tutti i cittadini e soprattutto per la res publica – la cosa pubblica – non pubblica perché tutti ne sono parzialmente proprietari, ma di tutti perché è per tutti, anche per chi non ne può vantare le radici o per quelle generazioni che devono ancora venire e che tutti siamo chiamati a conservare far progredire. Proclamare l’unità oggi qui, non vuol dire però azzerare le differenze tra la scelta coraggiosa di una lotta di Resistenza con o senza armi, anche attraverso forme di resistenza civile, come quella delle donne che raccoglievano i messaggi lasciati cadere dai carri dei deportati, e la scelta di un consenso al Fascismo, o dell’altrettanto pericoloso “non dissenso” al fascismo. Ci uniamo a quanto ha detto il Presidente Sergio Mattarella: “La ricerca storica deve continuamente svilupparsi ma senza pericolose equiparazioni fra i due campi in conflitto nella lotta di Liberazione nazionale dal nazifascismo”. Vergogna quindi per chi tenta di cancellare la memoria e il significato della Lotta Partigiana!

Nella Resistenza gli Italiani maturarono quei valori e quei principi civili e politici che oggi sono espressi in quel documento di altissima civiltà che è la nostra Costituzione democratica e repubblicana garanzia ultima dei diritti di cittadinanza nei confronti di ogni possibile arroganza dell’autorità. Basata sulla separazione dei poteri ha potuto resistere ad innumerevoli attacchi negli ultimi anni. E in Italia c’è sempre un rischio di una deriva fascista, come disse Gobetti all’indomani della marcia su Roma: “Questa non è una rivoluzione, ma una rivelazione degli antichi mali d’Italia”. E la deriva fascista si alimenta nella scarsa considerazione per la scuola pubblica, nelle semplicistiche misure per ridurre il costo del lavoro, del welfare, della scarsa attenzione per i servizi pubblici, per la salute, per la qualità dei cibi, dell’ambiente, dell’aria, dell’acqua. Allora come oggi, l’indifferenza, il non prendere posizione, l’attesa sono già complicità. Cittadine e cittadini fate sempre sentire la vostra indignazione prima che ve ne tolgano la possibilità!

All’antifascismo maturato nella Resistenza da uomini come Spinelli, Rossi e Colorni dobbiamo essere grati anche per aver concepito un’idea di Europa che superava i nazionalismi miopi, un’idea di Europa completamente diversa da quella nazifascista che era basata invece sull’omologazione e lo sterminio dei diversi. Dall’antifascismo nasce dunque quella che è la nostra unica speranza politica, un’Europa unita nella diversità: federazione di città, di popoli, non di stati-nazione. Idea per realizzare la quale dobbiamo però ancora però impegnarci moltissimo. E se in quest’epoca che vede il risorgere della barbarie in tanti luoghi del nostro pianeta, dall’Africa al Medio Oriente, provocate dai traumi del colonialismo politico di un tempo e di quello economico di oggi, l’Europa vuole essere protagonista, può esserlo solamente come faro di libertà e diritti civili e non deve quindi diventare la Fortezza Europa, ma luogo dove si possa accogliere dignitosamente ogni richiedente asilo politico e protezione umanitaria, perché diventi ambasciatore di civiltà e motore di cambiamento nel suo Paese d’origine. Parafrasando Garibaldi, dobbiamo allargare il nostro concetto di Patria dalla penisola risorgimentale, adottando l’intera umanità come nostra Patria, comprese le generazioni future. Solamente facendosi cosmopolita e assumendosi la responsabilità del futuro del pianeta, l’Europa potrà assolvere il proprio compito di portatrice di civiltà. E il nostro pensiero va oggi anche a Giovanni Lo Porto, l’ennesima vittima della guerra anche quando è missione di pace.

E parlare di pace è importantissimo proprio quest’anno che vede l’inizio di tante commemorazioni per quell’assurdo conflitto che fu la prima Guerra Mondiale, la grande carneficina, che per l’Italia iniziava un secolo fa. Dobbiamo fare molta attenzione che in queste commemorazioni non scivoli anche qualche sentimento di celebrazione – di chi vuole vedere nella comunanza forzata in quelle fangose trincee di tanti dialetti provenienti da tutta la nostra penisola, la nascita del popolo italiano, di chi vuole leggere in quella guerra l’evento cardine che, “fatta l’Italia, fece gli italiani”. Quella guerra fu solamente un’immane tragedia. Vanno invece riabilitati quegli episodi per tanti decenni censurati che segnarono la nascita di un pensiero critico dal basso, come la vicenda dei fusilâz di Cercivento e degli altri episodi fino ad oggi etichettati come insubordinazioni, come quello della valorosissima Brigata Catanzaro che a distanza di pochi mesi fu decorata con la Medaglia d’Oro per il San Michele e poi decimata a Santa Maria la Longa. Segnarono la presa di coscienza della dignità di ogni persona di fronte alla follia di chi si trova al potere, e in questo senso furono coerenti con il pensiero risorgimentale e resistenziale.

Cittadini e cittadine ricordatevi che siamo cittadini liberati dalla lotta partigiana, che è cosa ben più significativa di essere semplicemente cittadini liberi, o liberisti ovvero liberi di fare ciò che ci rende più competitivi. Il dettato della Liberazione e della nostra Costituzione non è quello di essere più competitivi a scapito degli altri, ma è invece riconoscere il valore delle diversità, il messaggio della Repubblica nata dalla Liberazione è “non uno di meno”, i suoi valori sono: il voto, il dialogo basato sul pluralismo, l’inclusione sociale, la tutela delle minoranze e del bene collettivo. La Resistenza è sempre attuale perché sempre attuale è la sua lezione di responsabilità civile. Essere cittadini liberati significa non essere mai indifferenti alle ingiustizie in nome di una legalità prepotente. Significa essere sempre capaci di un pensiero critico individuale e di una volontà di azione etica, mai massa, succube alle seduzioni demagogiche del leader populista di turno. Alto è oggi il rischio di derive totalitarie proprio a causa della gravissima recessione economica che sta colpendo in modo sempre più spietato e accrescendo drammaticamente la disparità tra le famiglie che hanno subito un repentino calo di reddito e quelle che l’hanno mantenuto, tra chi ha un lavoro e chi l’ha perduto o ne è stato espulso perché fungibile, non funzionale al profitto, e non riesce a riottenerlo più, tra chi è giovane e non ha prospettive e chi invece le ha, e proprio per queste garanzie è visto come privilegiato. Pensate, viene additato come ingiusto proprio ciò che dovrebbe invece essere un valore per tutti. Dobbiamo invece essere tutti uniti. L’indifferenza a questi fatti è già complicità, come allora l’attesa ad agire era già tradimento. Essere partigiani oggi vuol dire mettere al centro il problema del lavoro e delle prospettive per i giovani, la cui mancanza sta creando una nuova emigrazione, vuol dire difendere le organizzazioni sindacali, lo statuto e i diritti dei lavoratori, contrastare strategie che tendono a portare via dall’Italia il lavoro per ricrearlo altrove dove costa meno perché vi sono meno garanzie. Si deve resistere quindi alla delocalizzazione e alle esternalizzazioni quando sviliscono i lavoratori a pura merce che conviene acquistare dove costa di meno. Bisognerebbe invece introdurre il reddito di solidarietà per assicurare la dignità a tutti e una prospettiva ai giovani. Le recentissime leggi che indeboliscono quelle che erano conquiste di dignità dei lavoratori, come l’articolo 18, preoccupano anche se vengono proposte come grandi riforme. Temo che portino ad una crescita delle sperequazioni e dunque creino ulteriori rischi di rottura della solidarietà sociale. Temo anche per la scuola pubblica, che sotto il peso di ancora nuove riforme possa venire indebolita e faccio appello affinché gli ideali democratici e repubblicani possano difendere questo luogo primario di civiltà e di diritti di cittadinanza. Tutta la nostra solidarietà va verso i tantissimi lavoratori e lavoratrici che oggi vivono il ricatto della precarietà e in una giornata che dovrebbe essere di festa e riflessione, sono invece obbligati a servire logiche di mero profitto. Dobbiamo resistere a chi pensa di superare la recessione frantumando la voce unita dei lavoratori. Sono loro il patrimonio della nostra Repubblica fondata sul lavoro, come recita la nostra Costituzione, figlia della Resistenza.

L’attualità della Resistenza è dunque ancora maggiore oggi di quanto lo fu in periodi di florido sviluppo economico perché le epoche difficili di depressione richiedono maggior impegno civile delle altre. Resistere significa mantenere viva la coscienza morale e politica. Essere vigili contro il ritorno in politica di dilettantismi etici, di superficialità morali, di nuovi opportunismi faccendieri ed egoisti, che per troppi anni sono dilagati ed hanno inquinato la nostra società. Significa contrastare il ritorno di demagogie populiste e non lasciarsi sedurre da affabulazioni che vogliono rottamare istituzioni democratiche e modificare la Costituzione con leggerezza cavalcando la moltiplicazione mediatica dei proclami. Dobbiamo resistere all’asservimento ad una logica che tutela i bisogni dei bilanci finanziari, ma è cieca di fronte a quelli degli uomini. La Resistenza fu un nuovo Umanesimo, e di questo abbiamo sempre più bisogno oggi. Dobbiamo però riaffermare sempre la dignità e la centralità delle nostre istituzioni democratiche e repubblicane, così come ci sono state consegnate dalla Resistenza, liberandole certamente da coloro eletti, nominati o di carriera che con comportamenti vergognosi rischiano di delegittimarle, alimentando pericolosamente una sfiducia antipolitica che rischia di essere sfruttata da demagoghi antidemocratici. Dobbiamo avere sempre fiducia nella forza delle nostre istituzioni e rispetto nei confronti di chi democraticamente eletto ne ricopre le cariche. Dobbiamo valorizzare i cosiddetti corpi intermedi come i partiti e i sindacati che sono fondamentali per assicurare l’elaborazione di un pensiero collettivo e garantiscono ben altro spazio di riflessione critica rispetto ai tweet e ai mi piace dei social media.

Anche a distanza di 70 anni, anzi forse proprio perché sono passati 70 anni, La Festa della Liberazione è la ricorrenza più significativa per ogni Amministrazione Comunale che voglia promuovere le virtù civili dei propri cittadini, e per ogni cittadina e cittadino che senta di affermare la libertà, la democrazia, i diritti umani e il pluralismo nel rispetto delle diversità. Celebriamo la Festa del 25 Aprile con emozione e gioia insieme alle nostre famiglie, uniti nell’impegno di far vivere e difendere i principi della nostra Costituzione repubblicana, tanto facili da perdere, ma così difficili da riconquistare!

Viva la Resistenza! Viva la Costituzione! Viva la Repubblica Italiana!