Ad un anno dalla scomparsa di don Mario Miserino, la comunità di Mandaradoni gli dedica una scultura

Scultura GallizziLa comunità di Mandaradoni non ha dimenticato l’opera di don Mario Miserino, scomparso il 23 febbraio dello scorso anno. Tanti sono stati gli anni vissuti insieme ai fedeli della piccola località e alla sua memoria adesso ci sarà una scultura.

La cerimonia di inaugurazione si è svolta nei giorni scorsi nella chiesa di Santa Maria della Neve, che aveva fatto edificare negli anni Ottanta. L’opera, realizzata dall’arch. Saverio Gallizzi (lo lega al sacerdote non solo l’appartenenza alla comunità di Mandaradoni ma anche la comune origine nella vicina frazione di Motta Filocastro), mette in luce il rapporto dell’umano col trascendente, attraverso la rappresentazione di Cristo con la Madre che è al centro, scolpito nel legno di ulivo, inserito in una lastra in marmo statuario circolare. Si vuole simboleggiare, come ha spiegato lo stesso Gallizzi, l’umano col trascendente, la finitezza dell’uomo con l’infinitezza di Dio. Questo rapporto si coglie attraverso le due figure geometriche, il quadrato sospeso sugli angoli (che rappresenta la condizione di precarietà dell’uomo), e il cerchio che invece indica la perfezione e la divinità. Il messaggio profondo che si è voluto trasmettere (e che racchiude anche il valore dell’opera apostolica di don Mario ma anche il suo destino, morto in seguito ad una caduta dalla scala posta in precario equilibrio proprio in chiesa) interpreta la tensione dell’uomo di fronte al mistero della creazione e del messaggio cristiano. Come ha sottolineato l’autore, “l’uomo senza la fede, senza la luce divina, resterà recluso nella sua condizione di creatura imperfetta e sperimenta la drammaticità dell’esistenza terrena”. Importante è stata la scelta del legno d’ulivo per il bassorilievo, che ha un forte valore spirituale e che richiama anche il significato storico-antropologico di questa millenaria pianta che segna il nostro paesaggio. La scultura è stata posta sulla sommità del fonte battesimale della chiesa.

Nel corso della cerimonia commemorativa, oltre alla scultura, è stato donato anche un quadro, da parte dell’artista Vittorio Pinto, che ritrae don Mario. Nell’occasione la comunità ha voluto ricordare la figura di don Mario sacerdote e uomo, in particolare il modo il suo apostolato e la sua attività sociale e culturale. “Leggeva tanto e di tutto: di storia, di arte, di fisica, di chimica, di letteratura, e di tutto ciò che potesse aiutarci a scoprire il mistero della vita e soprattutto della morte. Ma tutto lo portava in un’unica direzione e cioè la centralità della fede”. Diceva sempre: “E’ Lui che ci viene a cercare, basta avere un cuore semplice e disponibile ad accettare le sue parole (come Zaccheo che si era arrampicato sul sicomoro per vedere Gesù). Non importa quanto abbiamo peccato, l’importante è quanto abbiamo amato”. Ma la sua maggiore preoccupazione – è stato sottolineato inoltre – era il destino dei giovani, in crisi sia di ideali che di valori spirituali. tra i molteplici interessi che hanno contrassegnato l’esperienza di don Mario, si ricorda la passione per la musica e per il cinema. Da un suo soggetto, è nato il film “Gli occhi di Tarra”, nel 2008, con la regia di Pasquale De Masi, i cui protagonisti sono stati i ragazzi della scuola media di Limbadi. Il sacerdote è stato anche l’autore della colonna musicale. Il film si conclude con le parole della intensa poesia di Ungaretti “La madre”, E il cuore quando d’un ultimo battito/ avrà fatto cadere il muro d’ombra/ per condurmi, Madre, sino al Signore,/come una volta mi darai la mano … Si coglie una straordinaria tensione umana, religiosa e spirituale, la stessa che ha contrassegnato il cammino di don Mario. Quelle mani ora lo hanno condotto sino al Signore; ed è questa fede che si è avverte nella chiesa costruita con le sue mani, pietra su pietra, mattone su mattone, a Preitoni nel comune di Nicotera, altra comunità dove ha lasciato in eredità dei segni e una testimonianza profondi nell’anima della gente, e dove si sono celebrati i funerali. Egli ha saputo interpretare e vivere il messaggio di Gesù in modo originale, con uno spirito giovane e gioviale, attraverso l’impegno sociale e l’esercizio spirituale, con lo sguardo di uomo del mondo ma anche con gli “Occhi di Tarra”. Aveva dentro questa vena artistica, quest’anima tesa, ispirato dalla sua Motta Filocastro e dalle Mille anime di Pietro Lazzaro, dalla vastità di orizzonte che si apre nello sguardo dalle sue alture verso il mare, ma anche dalla profonda spiritualità che si respira nelle grotte dove hanno dimorato i monaci Basiliani. Questo sentimento l’ha saputo trasmettere e trasfigurare intrecciando il mistero divino con l’amore verso il prossimo, la fede religiosa con la sacralità della terra, la dottrina dell’evangelo con la pedagogia dell’insegnamento. Ha saputo lasciare delle impronte con la leggerezza e la profondità di chi si affaccia alla vita con semplicità e umiltà, sapendo che il mondo è soltanto un passaggio che bisogna saper oltrepassare un giorno.