Cos’è la felicità?

Scan10008 Se si potesse in qualche modo e trovando le giuste parole, manifestare il proprio “ interiore” nelle sue interezze, forse ( e il “ dubbio” è d’obbligo ) si comprenderebbe quanta e interamente sia la nostra profondità spirituale che da qualche parte è dormiente, sommersa da un retaggio peso di cose inutili. Quanto di più grande e spiritualmente elevato c’è oltre la felicità? Che significa essere felice? Che significa dare felicità ? I latini affermarono che “ Beatus nemo dici potest extra veritatem proiectus” ovvero “ Nessuno lontano dalla verità può dirsi felice”. Presso gli antichi greci e latini la parola, nell’uso comune, poteva essere intesa nel senso che si considerava “felice” chi per fortuna possedeva dovizia di beni materiali (olbios in greco, felix in latino) oppure chi poteva godere di uno stato d’animo, tutto interiore e spirituale, che rendeva sereno chi lo provasse (eudaimonia in greco, beatitudo in latino). L’eudemonismo è la dottrina morale che riponendo il bene nella felicità (eudaimonia) la persegue come un fine naturale della vita umana; dall’eudemonismo quindi va distinto l’edonismo che si propone come fine dell’azione umana il «conseguimento del piacere immediato» inteso come godimento (come pensava la scuola cirenaica di Aristippo) o come assenza di dolore (secondo la concezione epicurea). E’ un po’ complicato il concetto poiché bisognerebbe andare oltre e quindi tornare a Socrate, al pensiero di Socrate che Friedrich Wilhelm Nietzsche considera Socrate[1] come un caso di eccesso di razionalità causato dai suoi istinti disordinati. Secondo Nietzsche, Socrate per contrastare i suoi violenti eccessi interiori aveva bisogno di ricorrere alla ragione per non farsi sovrastare completamente. Questa repressione degli istinti fa di lui un fanatico sostenitore della morale tanto che in lui «tutto (…) è esagerato, cialtronesco, caricaturale; [e dove] tutto è, nello stesso tempo, pieno di nascondimenti, di retropensieri, di sotterfugi» (Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli). Distruggendo la tragedia, Euripide così come Platone inaugurano per Nietzsche la nuova era del nichilismo dove l’uomo si distingue non più per l’affermazione di sé ma per la “giustificazione di sé”. Dall’antichità ci è pervenuto un quadro della figura di Socrate così complesso e così carico di allusioni che ogni epoca della storia umana vi ha trovato qualche cosa che le apparteneva. Già i primi scrittori cristiani videro in Socrate uno dei massimi esponenti di quella tradizione filosofica pagana che, pur ignorando il messaggio evangelico, più si era avvicinata ad alcune verità del Cristianesimo. L’Umanesimo e il Rinascimento videro in Socrate uno dei modelli più alti di quella umanità ideale che era stata riscoperta nel mondo antico. Erasmo da Rotterdam, profondo conoscitore dei testi platonici era solito dire: «Santo Socrate, prega per noi» (Sancte Socrates, ora pro nobis). Anche l’età dell’Illuminismo ha visto in Socrate un suo precursore: il XVIII secolo fu detto il “secolo socratico”, giacché in quel periodo egli rappresentò l’eroe della tolleranza e della libertà di pensiero. Ogni epoca ha dunque ricostruito una propria immagine di Socrate, ma ha anche insistito sulla complessità che caratterizza la sua figura…. In conclusione, credo che la vera ragione della continua presenza di Socrate nella nostra tradizione culturale sia dovuta al fatto che egli è stato veramente il primo filosofo, colui che per primo ha riconosciuto di non sapere, e per questo ha desiderato sapere. Ritengo che sia questa la ragione fondamentale che fa di Socrate una delle fonti perenni della riflessione filosofica. » Dunque se in Amore viene a mancare o non c’è “Verità” non c’è la felicità. Così detta, potrebbe apparire tutto troppo riduttivo, troppo facile, e invece bisognerà comunque andare oltre addentrandosi in un pantano di sabbie mobili che è – l’aspetto umanistico – ed è un vero dramma. L’uomo è così – stupido – e capace oltre che a non riconoscersi nella felicità anche di distruggerla invaso e confuso da tantissime ideologie moderne ( che nulla hanno a che fare con i greci e i latini), da diversi suggerimenti che invece di valorizzare la felicità, da essa lo allontanano. Io non so cosa sia veramente la “ felicità “ ma conosco il piacevole stato d’animo nel quale essa pone; a tal proposito chiedendo ad una donna – Sei felice – ? La risposta più frequente è: “ Si sono ,abbastanza felice ma potrei esserlo molto di più! Quanto ad assaporare gli attimi sono una intenditrice…proprio perché sono molto nostalgica e so perfettamente che gli attimi e i momenti belli sono irripetibili e non tornano più …li vivo intensamente e con il cuore! “ Ma…. Non è per caso che Non sia consentito o non è consentito mentire in amore, per essere totalmente felici? Amare una donna e viceversa, significherà pure –donazione – delle une e degli altri, rispetto, educazione, che allontanano dalla violenza maggiormente applicata dall’uomo nei confronti della donna, quasi un costume oggi, una cosa normale. Normale dunque ridurre una donna in schiavitù morale e fisica, è normale lapidarla, è normale toglierle la vita, è normale sfruttarla, è normale abbandonarla dopo averla usata! Forse il vero dramma di questa “Società Moderna “ è questa apparente normalità! Sarà proprio vero?