E così con un bacio io muoio

« E così con un bacio io muoio »  Di Vincenzo Calafiore “ I due ragazzi si scambiano poche parole, ma sufficienti a farli innamorare l’uno dell’altra e a spingerli a baciarsi. Prima che il ballo finisca, la Balia rivela a Giulietta il nome di Romeo e Romeo apprende che la ragazza è la figlia dei Capuleti …. “ romeo e giuliettaSi dice, a volte si conferma che l’Amore sia un termine astratto, estremamente sfuggente e complesso a rischio come pochi altri sentimenti di sfumare nelle più penose banalità. Invece per quanto mi riguarda parlare dell’amore è come perdersi in infinite galassie di senso, esplorarlo fino ai suoi orizzonti e poi tornare a guardarlo in primo piano ed entrare nelle sue molteplici articolazioni alla ricerca di una vera oggettiva definizione del suo senso; forse sarà quel continuo esercizio mentale di rapporto “elemento- contesto” Sarà un gioco che esige un atteggiamento mentale in grado di investire insieme, da una posizione di meta livello, due importanti domini, quello dei significati e quello dei significanti e le relazioni che li interessano sia internamente che reciprocamente. Quindi, con riferimenti a Socrate, ci potremmo configurare un filo che unisce il dominio delle esperienze , da quelle fisico-affettive a quelle mentali elaborativo – sintetiche , e il dominio del linguaggio: cioè le esperienze fisico-affettive trovano nelle esperienze intellettuali una loro sintesi nel concetto, e questo trova nella parola il suo significante più sintetico. Un processo di relazioni che lega la ‘Cosa’ al ‘Concetto’ e questo alla ‘Parola’ in grado di dirlo. Usando un termine linguistico, soprattutto una parola astratta, dovremmo avere istantaneamente presente questo cordone che, tramite il concetto, la lega alla pletora articolata di esperienze infinite e mutevoli, che spinge ad intraprendere quei giochi di confronti. L’amore non può essere cosa concreta, ( la voce concreto trova nell’etimo latino il senso della saturazione che si verifica: “ Cum-crescere” . Tornando a quel percorso cui si è fatto cenno e cioè . esperienze, concetto, parola, tutto il processo che produce sintesi, conservando il senso, si muta in uno schiacciamento delle esperienze e del concetto sulla semplice parola. Che, a questo punto, diventa un monolite senza porte né finestre, con l’unica valenza di etichetta. Praticamente, per usare un esempio attuale, è ciò che succede quando, dovendo spedire in posta elettronica un messaggio pesante, lo si zippa. Lo si comprime in qualcosa di trasportabile più facilmente; zippato è illeggibile per cui il destinatario,, una volta ricevuto il ‘pacchetto’ dovrà ‘dezipparlo’ , decomprimerlo, è così che il buco nero torna ad essere l’articolato messaggio che il mittente aveva composto. Questa patologia del linguaggio non è caduta dal cielo, improvvisamente, una bella mattina, ma è un virus della storia che ci riguarda,, endemico, presente da lunghissimo tempo in stato più o meno larvale. E’ frutto di un meccanismo della nostra cultura che usa per proteggere e rafforzare quelle strategie necessarie al fine di rafforzare la propria immagine. E’ una struttura culturale che contribuisce alla perdita di riferimenti e di significati, entrano ampiamente in questo gioco di ritmi ossessivi imposti al quotidiano dalle esigenze delle tecnologie , in generale, e di quelle informatiche, in particolare. Le segmentazioni infinite alle quali viene sottoposto nel tempo sono infatti acutamente ansiogene e riescono a moltiplicare le esigenze di compattamento proiettate dal sistema per conservare l’inuitile potere di controllo. Ricordo i miei tempi vuoti, in cui mi ero perso nella ricerca di fare sesso, ma ricordo altresì la volta che piansi quando pronunciai per la prima volta della mia vita “ Ti amo” . Non è un verbo è la sintesi, l’apoteosi di quel grande miscuglio di sentimenti che sfociano in questo. Quel – ti amo – che ancora adesso pronunciandolo in tutte le forme possibili alla donna che amo ancora mi commuove. A mancare “oggi” in questa follia collettiva in cui costretti ci sguazziamo è quell’amore intensamente poetico o quasi piacevolmente e intimamente fiabesco di “ Giulietta e Romeo”. Un amore così grande cantata da Mario del Monaco è un inno alla gioia, alla felicità interiore che si manifesta poi negli atteggiamenti gentilmente umano verso se stessi e gli altri. Allora prodighiamoci a coniugarlo quel “ Ti amo” verso la propria donna, verso la propria madre, nei confronti di un prossimo che sicuramente non comprenderà nell’immediatezza, ma perseverando, forse comincerà anch’esso a coniugarlo.