L’irrequietezza

C’eravamo allontanati ormai da tempo dai sfavillanti e cupi tramonti di albe attese dietro grandi vetri; il viaggio ci portò lontano, distanti come lo eravamo fra noi, una carovana tra le sabbie infuocate di spiagge abbandonate.

Nello straordinario altrove cercavo la parola idonea capace di trasformare una sagoma scura in un lampo di luce, di riavvolgere la penombra e rilanciare i destini che si presentano da oscure lontananze.

Noi, viaggiatori viaggianti, appartenenti ad altre storie ci accampammo a ridosso di sabbia in viaggio, noi dalle identità ambigue sotto cui si intravedono profondi dissidi, drammi irrisolti, inquietanti convergenze, attorno ai fuochi. Uomini e frasi si scambiano i ruoli e perfette riflessioni ove gli individuali profili e le storie vere s’intrecciano e si perdono negli anfratti e gli stupori d’una scrittura vocale.

Siamo stati figli di una dignità perduta per futili motivi e ritrovata ora a distanza di anni che porta in superficie quel qualcosa di oscuro che aveva fermentato dentro.

Le mie dolorose considerazioni racchiuse in un sogno.

Dopo spietata analisi psicologica e parole rivelatrici, l’incontro con una linea verticale movimentata da parole ribelle lo scenario si arroventa e si centrifuga nel rivisitato fondale dell’infanzia mai avuta.

Lo sguardo trasmette con ritmi serrati e senza urti le tematiche più gravi, i colori forti di un’età ingenua, il saettio di qualche motivo indocile saldandoli ad un quotidiano in spazi difformi.

Nascono gli impulsi della confessione e felicità inventive.

Forse non siamo altro che creature di confine cui piace provocare sofferenze e liberarsi della precisione dei ricordi al fine di lasciare libera l’immaginazione di sguardi oltre le apparenze.

Allora, la nostra vita altro non è che un mosaico di tessere leggere, incise di pena sin dalla tenera età e risucchiata dalle sabbie mobili di diversi sistemi che prendono il bello dei giorni senza preoccuparsi, compiamo disordinate esperienze lasciandoci trascinare dagli eventi proposti senza possibilità di scelta, dunque, stranieri sempre nella vita in viaggio con il paesaggio che scorre dietro a un vetro!

Nei silenzi s’ode il sgocciolare lento del tempo, del vuoto che si forma intorno a una imprecisa libertà, il silenzio dei pensieri che non sanno trattenere la storia di chi li ha posseduti e trasmessi poi successivamente con la prospettiva di rimanere uomini murati in infinite solitudini di padri come balene feriti a morte e di madri perse nel nulla con gli occhi pieni di pianto.

La fisionomia delle cose, la luce dell’aria, i gesti s’incarnano attorno a nuclei di significati aberranti lontani da quel forte senso di sacralità che a volte fa dire “ C’era una volta”. Una sofferenza implacabile, slittante nell’ambiguità, mentre giungono piccolissimi universi di salvezza dentro un verbo: Ti amao!

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