Filosfofia 2.0, l’anima in occidente

Platone

[Il dualismo anima-corpo]

“Il pensare è il parlar da sola dell’anima”.

Platone, frammento.

La filosofia di Platone è dicotomica o dualistica, nel senso che concepisce la realtà come bipartita tra mondo sensibile, la Terra, il mondo nel quale viviamo, e mondo intelligibile, il mondo delle Idee, che sono causa e insieme presupposto dell’esistenza del mondo sensibile.

La postulazione dell’esistenza di un mondo sovrasensibile, l’Iperuranio, sede delle Idee immutabili ed eterne, porta con sé la prima ed inevitabile svalutazione del mondo sensibile, che si riduce così a mera copia, spesso anche mal riuscita, del mondo delle Idee.

Interessante è, a questo proposito, la visione di Platone circa l’arte: essa è priva di alcun valore poiché copia della realtà, la quale, a sua volta, è copia delle Idee. La materia si avvia così ad essere considerata un principio negativo, privo di quella razionalità che i fisici ionici avevano ritenuto essere presente in essa.

E l’uomo? Anche l’uomo è materiale, che fine fa dunque?

Poiché l’anima dell’uomo è affine alle Idee e poiché queste si trovano ben lontane dalla materia, occorre dedurre che “il corpo è il carcere dell’anima”. Finché viviamo, ci ricorda Platone, “noi siamo morti e il corpo è per noi una tomba”: esso, infatti, continua il filosofo, “con le sue passioni e i suoi tumulti”, ci allontana dalle Idee conducendoci verso la materia corrotta e degenerata. Platone illustra poi le vie per accedere al mondo delle Idee, ma non è qui il caso di entrare eccessivamente nel merito della sua filosofia.

Dunque Platone ha proprio inventato l’anima (lui assieme alla tradizione orfica, ovviamente) nel senso che non si è limitato a dire che essa è un “anemos” presente nell’uomo ma, spingendosi ben oltre, ha affermato che essa è la sola e vera realtà e, soprattutto, ha affermato che essa è, e questo è il passaggio chiave, immortale.

PER FARE IL PUNTO!

Secondo Platone il mondo sensibile è solo una copia delle Idee, le uniche realtà ontologicamente fondate. Conseguenza di questa visione è una profonda svalutazione della materia, con particolare riferimento al corpo il quale, in quanto materiale, è il vero e unico “carcere dell’ anima”.

LA TRADIZIONE GIUDAICO-CRISTIANA

[La mancanza del concetto di anima]

“[…] aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”.

Il Credo.

Se l’invenzione dell’anima è greca, o meglio platonica, cosa dire della tradizione giudaico-cristiana?

Ebraismo e cristianesimo, originariamente, non conoscevano il concetto di anima ma lo “adottarono”, piuttosto impropriamente, dalla tradizione filosofica orfica e, in particolare, dalla filosofia platonica.

Lo sottolinea Galimberti in “Cristianesimo. La religione dal cielo vuoto”. Feltrinelli, Milano2012, quando afferma che: “La parola ebraica nefesh, che i Greci tradurranno con psyché e i latini con anima, in ebraico significa vita e tutto ciò che concorre alla vita”.

Sempre in “Cristianesimo. La religione dal cielo vuoto”, Galimberti riporta diversi esempi a sostegno dell’origine platonica e non ebraico-cristiana del concetto di anima: riporto di seguito i più significativi. Nel Salmo 107 si legge, ad esempio, che uomini affamati e assetati ringraziarono Jahvè “Perché saziò la loro nefesh assetata e affamata” e per lo stesso motivo Endos interroga Davide con queste parole: “Perché vuoi mettere un cappio intorno alla mia nefesh così da farmi morire?” (1 Samuele, 28,9).

In entrambi i casi è evidente che nefesh sta per gola e non certo per anima. Ancora, nel Deuteronomio (12,23), si legge: “Il sangue, questo è la nefesh” e ancora, a proposito di un torto da vendicare: “Se ci sarà danno, porrai occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, nefesh per nefesh” (Esodo, 21, 23-25).

In tutti questi passi è palese che nefesh non sta per anima ma per “vita”, declinata di volta in volta ad indicare differenti parti del corpo. Secondo questa particolare interpretazione proposta dal filosofo Galimberti, che non trova comunque totale accordo tra gli studiosi, un’attenta analisi etimologica basterebbe a rivelare l’origine prettamente corporea dell’Ebraismo e del Cristianesimo.

La religione ebraica è dunque una religione che non concepisce l’uomo in termini di anima e corpo: essa è infatti una religione dei corpi e del sensibile e là dove si parla di sostanza spirituale e di sostanza immateriale, si fa riferimento non all’anima ma allo spirito, inteso come l’insieme delle più alte capacità intellettuali e speculative: quelle stesse facoltà che oggi potremmo sostanzialmente circoscrivere alla coscienza.

PER FARE IL PUNTO!

Lungi dall’essere religioni dell’anima, Ebraismo e Cristianesimo si configurano piuttosto come religioni dei corpi. Il termine aramaico nefesh indicava infatti la vita e la sua presenza nel corpo, e non aveva nulla a che vedere con la spiritualità intesa come possibilità di una vita dopo la morte.

NEFESH DIVENTA PSYCHE’

[Agostino e l’“errore” fondante dell’Occidente]

“Dì all’anima mia: Io sono la tua salvezza […]. Ecco, le orecchie del mio cuore stanno davanti alla tua bocca, o Signore. Aprile, e dì all’anima mia: Io sono la tua salvezza”

Agostino, Confessioni, 1, 5, 5

Riprendiamo ancora le parole di Galimberti: “La concezione ebraica, che non pensa l’uomo diviso in anima e corpo, passa pari pari nel pensiero cristiano, se è vero che i cristiani nel loro atto di fede, il Credo, dicono di credere non all’immortalità dell’anima, ma alla resurrezione dei morti.” Da “Cristianesimo. La religione dal cielo vuoto”. Feltrinelli, Milano 2012. (Pag. 142)

Noi però non diciamo nefesh per dire anima, e nemmeno psyché, perché?

Agostino d’Ippona (354-430), uno dei massimi teologi del suo tempo, padre di molte delle idee confluite poi nel Cristianesimo moderno, commise un errore fondamentale o meglio, un’ “appropriazione indebita” da un punto di vista religioso e filosofico: Agostino si appropriò del concetto platonico di anima (psyché) e ne traspose il senso dal piano gnoseologico (cioè conoscitivo) a quello ontologico e salvifico.

Se Platone aveva infatti introdotto il concetto di anima per fini conoscitivi, per fondare cioè una conoscenza che si basasse sull’oggettività e sulla veridicità che solo l’immutabilità delle Idee potevano garantire, Agostino si stacca sia dalla concezione giudaico-cristiana, sia dal dualismo gnoseologico di Platone in quanto connette il concetto di anima non alla conoscenza ma bensì alla salvezza.

“Fu così che” continua Galimberti, “il dualismo anima-corpo, inaugurato da Platone e sconosciuto alla tradizione giudaico-cristiana, divenne con Agostino fede popolare e persuasione diffusa nella cultura cristiana.”

E’ dunque con Agostino che l’anima acquista l’accezione con cui noi oggi la conosciamo. Essa designa così la parte profonda dell’uomo che condurrà una vita ultraterrena dopo la morte del corpo stesso: in paradiso se lo meriterà, nel regno degli inferi se dovrà espiare le proprie colpe.

Su questo “errore” è costruito tutto l’Occidente in quanto l’Occidente, come vedremo meglio in seguito, è cristiano poiché pensa, pur non essendone spesso consapevole, cristianamente. Ho parlato di “errore” a proposito dell’operazione svolta da Agostino: è arduo e forse pretenzioso in realtà considerare tale spostamento di senso un errore dato che, in fin dei conti, qualsiasi operazione ermeneutica, cioè qualsiasi speculazione che contribuisca alla creazione di senso, il quale poi, attraverso un processo di concrezione, si sedimenterà dando origine nel corso del tempo ad un sapere, (filosofico-teologico in questo caso) è sempre e comunque un’interpretazione ed ha valore, in quanto tale, fin tanto che essa viene condivisa.

Certo è che tale interpretazione fu tanto originale quanto anomala rispetto alla tradizione giudaico-cristiana. Sarebbe dunque sbagliato, a rigore di logica, parlare di “errore” poiché in campo teologico il sapere divino è sempre e comunque filtrato, pur partendo da una base stabile (il testo sacro e fondante di una certa religione, ad esempio) dalle diverse interpretazioni fornite nei secoli.

Basti pensare, nel caso del Cristianesimo ad esempio, all’importanza dei diversi Concili ecumenici (Concilio di Nicea, Concilio di Costantinopoli ecc…) per la determinazione dell’ortodossia tutt’oggi osservata dai credenti.

PER FARE IL PUNTO!

Il teologo Agostino traspose il significato del termine psyché (introdotto da Platone) dall’ambito gnoseologico a quello salvifico. Agostino dunque riprende il dualismo anima-corpo e lo connette alla sfera divina. Di nuovo c’è dunque non tanto l’immortalità dell’anima (affermata già da Platone) quanto la salvezza o la condanna eterna dell’anima dopo la morte del corpo.