Limbadi, la biblioteca Salvatore Corso Onlus costretta a chiudere

Biblioteca Corso il presidente D'ApaUn presidio di legalità, di cultura, di dialogo, di democrazia, sarà costretto a chiudere le porte.  La  Biblioteca “Salvatore Corso onlus”, che a distanza di due anni dalla sua inaugurazione (13 agosto 2012), non potrà più svolgere la sua attività culturale di servizio e di incontro, nell’attuale sede. Nonostante gli accorati appelli alle istituzioni non è stato possibile trovare un locale che potesse ospitare gli oltre 35 mila volumi; eppure sono diversi gli edifici pubblici esistenti in cui potrebbe trovare sistemazione, a partire dai locali scolastici inutilizzati. Oggi  pomeriggio (ore 18.30) l’ultimo atto di questa esperienza che ha visto diverse iniziative di carattere culturale e sociale, con la partecipazione di numerosi scrittori e tanti cittadini. L’occasione una ricerca condotta da Deniela Profiti  (vive a Nicotera), dal titolo “Andamento lento – La gestione della carriera al femminile”. Si tratta di uno studio sul percorso lento e difficile che hanno dovuto affrontare le donne sulla strada dell’emancipazione e dell’indipendenza economica, per abbattere il “soffitto di cristallo” che ancora oggi impedisce alle donne di poter raggiungere la parità nel mondo del lavoro.

Amarezza per tutti gli sforzi profusi in questi anni da parte dei promotori e sostenitori dell’associazione che gestisce la biblioteca, il presidente Stefano D’Apa,la  vicepresidente Raffaella Crupi, la responsabile della Biblioteca  Aurora Corso e il direttore Luigi Cariddi, i quali hanno vissuto questa sfida, con passione e coraggio. Una sfida contro l’indifferenza, un atto titanico in una realtà sociale che ha sete di credere in se stessa, ma destinato a “inchinarsi” al fato. Il territorio perderà un punto di riferimento dove l’incontro con il libro e con i libri era un’importante occasione per incontrarsi, discutere e dibattere sul futuro di questa terra e sui valori, non solo di carattere artistico e letterario, ma anche etico-civile, che ha significato occuparsi dei problemi della “polis”, per contrastare ogni forma di decadenza e degrado. Eppure le istituzioni ipocritamente invitano i cittadini a lottare per difendere la dignità, per esprimere in modo libero e democratico il proprio pensiero, non abbassare la testa e chiudersi nel silenzio di fronte alle ingiustizie, alle prepotenze e ai soprusi. La comunità di Limbadi è costantemente identificata  come culla del clan Mancuso e gli organi della Stato spendono tantissime energie per indagare e reprimere le loro attività; per questo motivo da diversi decenni questo territorio è stato considerato come ad alto inquinamento mafioso, facendo passare un’immagine negativa e incutendo paura e timore nell’opinione pubblica, con gravi danni per i tantissimi cittadini onesti e responsabili del bene comune. Eppure che risposte ci sono state da parte delle istituzioni di fronte alle richieste di chi vuole ribellarsi a questo destino cieco cercando di diffondere la luce della cultura e dei valori democratici?

La risposta è sempre negativa: è meglio reprimere, lasciare la comunità in balia delle forze oscure, che restino isolate quelle sensibilità che tentano di invertire la rotta, piuttosto che aiutarli a ritrovare fiducia e rinnovato impegno per rafforzare gli anticorpi sociali al male. Il caso della Biblioteca Salvatore Corso è emblematico. Non può che essere letto attraverso questa chiave interpretativa: noi cittadini che abitiamo queste località, dobbiamo assuefarci alla disgregazione umana e sociale e partorire “i fiori del male”, mentre per il bene dobbiamo affidarci a qualche Santo che sia ancora disposto a perdonarci. Una comunità che non ritrova la fiducia, che viene deprivata di quelle risorse fondamentali per credere nel proprio riscatto e nel proprio futuro – e la stampa e i media non fanno altro che alimentare il “mostro” perché sono molto sensibili alla luce della cronaca nera e a tutto ciò che si colora di crimine, mentre l’impegno per il bene comune e per la crescita democratica è messo in ombra – non può far altro che rassegnarsi alle brutture e alla desolazione. Basti aggirasi nei centri abitati del comune: strade preda delle buche e delle sterpaglie, inquinamento ambientale, alta disoccupazione giovanile, mancanza di prospettive e tanti giovani che desiderano – o sono costretti – a fuggire, amministrazione comunale affidata nelle mani di un commissario, strutture pubbliche in abbandono. Questa è la carta di identità di un comune emblema della condizione dell’homo Kalabrus nell’era di Lorenzi il Magnificus. Eppure i figli di questo strano esemplare di “homo” baciato dalla “fortuna”, fanno parte dell’Italia e dell’Europa e vorrebbero avere le stesse opportunità che hanno i figli di tutti gli altri cittadini, e non essere vittime predestinate di pregiudizi, discriminazioni, ed espiare colpe altrui.