Oppido Mamertina, vivere e resistere in Calabria è una sfida contro i nuovi totalitarismi

Cos’è che sorregge l’impegno umano e civile di tanti cittadini al destino di una terra come la Calabria? Dove trovano la forza e le motivazioni profonde per resistere e lottare?

Questa terra ti mette di fronte quotidianamente alla criminalità, al degrado delle istituzioni e della società civile, della rassegnazione e del mercimonio, della violazione dei diritti elementari e del tradimento dei principi fondamentali della Costituzione. Una domanda batte e ribatte sulle porte appena socchiuse: ma i calabresi sono cittadini europei o soltanto una “razza maledetta” indegna di far parte della comunità civile, per cui alcuni potenti “gerarchi” hanno programmato che la Calabria sia il regno incontrastato dell’oppressione, della negazione della libertà e della democrazia, affinché l’immondizia materiale e morale divenga il segno eloquente della perdita della dignità umana? O è vero il contrario, che vivere in Calabria è una bella sfida? Non pensate che sperimentare lo sradicamento esistenziale che si prova in questa punta periferica dell’Europa, sia un atto di sfida planetaria? oppure di incoscienza locale?…

Vivere in Calabria in modo onesto e lottare per affermare principi e valori etici, in queste condizioni e con questa situazione storica, culturale, sociale ed economica, significa resistere e sfidare alla radice il sistema che produce brutalità, immondizia, inquinamento e ingiustizia ed emigrazione. Noi siamo dominati da un modello comunicativo e produttivo che veicola messaggi negativi e si regge perché esiste un sistema criminale che genera corruzione, degrado, sfruttamento, paura, angoscia, malattia. La storica questione della criminalità, definita organizzata (attenzione al messaggio occulto insito nelle parole: il male si organizza invece il bene si disperde e si disgrega…), viene esibita sui media come prodotto tipico locale e appuriamo che noi siamo condizionati dalla ‘ndrangheta.  Quante amministrazioni sono state sciolte per infiltrazione mafiosa nella sola provincia del Vibonese; ma guarda caso, i clan diventano sempre più potenti a tal punto da creare un sacro terrore e la stampa partecipa a questo rito collettivo con narrazioni epico-religiose, alimentando il culto e creando il mito. Chissà perché questo mostro invisibile si aggira nelle nostre case e nessuno ne conosce l’identità e la paternità … Eppure gli organi dello Stato c’è lo descrivono, lo analizzano, lo indagano in profondità. Esiste una letteratura sconfinata: studiosi, esperti, professionisti ed emeriti professori si occupano a tempo pieno di ‘ndrangheta… Ahi noi inermi cittadini! Badate bene al messaggio: “è nostra la responsabilità se questi pericolosi criminali si aggirano indisturbati nei nostri sonni e omertosi silenzi!” È curioso che ci viene instillato con piccole gocce di veleno il potere pervasivo di questo e di quel potente clan per poterci assuefare e rassegnare; ma chi è preposto a debellare la “malapianta”?

C’è qualcosa in tutto questa sinfonia che stona. Ci sono alcuni orchestrali che non conoscono lo strumento o che non sanno leggere le note sul pentagramma della comunicazione; oppure il testo musicale è stato composto per creare una dissonanza (è molto probabile che qualcuno abbia studiato con passione la dodecafonia di  Arnold Franz Walther Schönberg!). Che cosa dobbiamo pensare? Che c’è una dotta confraternita di filantropi che pensano al bene infinito della progenie umana con un disegno intelligente che a noi profani sfugge? Come spiegare logicamente o sillogisticamente questo strano e incomprensibile fenomeno? Che è parte del Dna di chi nasce in Calabria e la terribile Nemesi vendica sulle creature innocenti le colpe dei padri?

Se le istituzioni che si sono assunte la responsabilità di cambiare il testo e il testamento, come mai non impongono la loro autorità filologica per emendare le corruzioni e riportare l’opera all’archetipo originale in questi nostri miserabili aggregati umani dove tutti sappiamo vita, morte e miracoli di ogni residente? O gli organi dello Stato sono ignari di tutto questo? Se lo Stato siamo noi anche noi siamo all’oscuro.

Queste le premesse. La conclusione è che ci ritroviamo come don Chisciotte della Mancia a lottare contro i mulini a vento; la differenza tra l’audace e folle e sognante “calvalier errante” e il nostro paesaggio, è che qui da noi non esistono i mulini a vento, ma solo pale eoliche; e il vento non solo si fa sentire, ma ne vediamo gli effetti – e ciò crea suggestione – se ci affacciamo sullo scenario magnifico delle isole Eolie. Sarebbe interessante costruire un’arpa eolia su ogni dubbio e lasciare che sia Eolo a comporre una musica nuova affinché possa spazzare via i cattivi pensieri, che purtroppo, ogni tanto, affiorano, forse trasportati da luoghi lontani e misteriosi. E così che riscopriamo il mito e con esso il ritorno prepotente del fato e ci affidiamo alla “metis” di Ulisse, affinché possa accecare il ciclope che ci ha imprigionati, o al filo d’amore di Arianna per farci uscire dai labirinti edificati dai tanti Dedalo,  per imprigionare anche la speranza.

In questa luce accecante la vera e autentica forza naturale e morale che possiamo scatenare è riappropriarci della fiducia, cercare di vivere in modo sano, nutrire il nostro corpo con cibi genuini, coltivati in modo ecologico, rispettare e difendere Madre Terra da ogni forma di inquinamento, non andare a comprare nei centri commerciali che sono “non luoghi”, spesso costruiti per depredare e distruggere le risorse locali; circondarsi di persone autentiche e oneste, avere degli ideali di libertà, aprirsi al confronto e al dialogo, generare corrispondenze positive, ma soprattutto attivare il pensiero e riflettere, perché questo sistema spinge l’umanità a desiderare la malattia, produce brutture e genera la paura, il degrado, l’indifferenza, la schiavitù.

La vera sfida è avere fede: fede nei principi, fede nel futuro, fede nell’incontro con la gente che ancora avverte il respiro dei sentimenti autentici e delle passioni, e diffidare di coloro che non hanno più fiducia né in se stessi e né negli altri, perché sono stati manipolati e anestetizzati dal “grande fratello” che alimenta il mostruoso:

“Quel che sta sullo sfondo di questa lettera è il ‘mostruoso’. Che cosa chiamo ‘mostruoso’? Il fatto che c’è stato uno sterminio istituzionale ed industriale di persone, e che si è trattato di milioni di persone.

Che ci sono stati dei capi e degli esecutori di queste attività, e cioè:

–          degli schiavi Eichmann (uomini che accettarono questi lavori come qualsiasi altro lavoro, adducendo come scusa ordine e fedeltà;

–          degli infami Eichmann (uomini che facevano ressa per occupare quei posti);

–          degli ottusi Eichmann (uomini che pur di godere di un potere assoluto accettarono la loro totale perdita delle sembianze umane);

–          dei vigliacchi Eichmann (uomini che erano contenti di poter commettere infamie in buona coscienza, ossia non come qualcosa di proibito, bensì come qualcosa che era stato perfino ordinato).

 “Per favore, Klaus Eichmann, si soffermi un attimo su questo. Poiché oggi ci troviamo veramente di fronte ad una delle radici del ‘mostruoso’. L’inadeguatezza del nostro sentire non è un semplice difetto fra i tanti; non è neppure peggiore del fallimento della nostra immaginazione o della nostra percezione; essa è invece addirittura peggiore delle peggiori cose che sono accadute; e con questo voglio dire che esso è persino peggiore dei sei milioni …

il mostruoso non soltanto è stato, ma è stato una introduzione. Auschwitz ha impresso il suo marchio alla nostra epoca, e ciò che è accaduto là potrebbe ripetersi ogni giorno …   (Gunters Anders, Noi figli di Eichmann, 1964)