Migrantes

traghetto MIGRANTES di Vincenzo Calafiore In un maggio odoroso di zagara e gelsomino, lungo la strada sopraffatta dagli alti oleandri rossi, bianchi, inebriato dai profumi veniva il giorno, e fra non molto alla stazione di Villa San Giovanni, salendo i gradini della vettura tutto questo lo avrei perduto. Ero andato lì perché da quello spuntone di roccia si poteva vedere interamente lo stretto col suo mare striato dai bianchi e dai blu più o meno intensi e Messina; sul quel mare l’andirivieni di traghetti “ Scilla, Poseidon, Reggio…” lasciano ricami e sbordate linee storte sulla superficie mutante mentre vanno e tornano. Traghetti che quel mare lo conoscono e sui quali viaggiai andando all’università tra odori di arancini e di caffè, nel vociare alto nel salone e le lunghe pause affacciato al parapetto a guardare Reggio che si allontanava e Messina con la madonnina all’ingresso del porto. Quel giorno giunse all’improvviso si presentò con tutta la sua tristezza sulla banchina di Villa San Giovanni, c’era un brulichio di gente con valigie e scatole di cartone legate con lo spago e tante facce disperate, fra queste la mia! Partivo con la certezza che sarei mancato due o quattro anni al massimo! Che bugia. Ogni estate tornavo in agosto, un viaggio massacrante in treno o in macchina…. Fino a casa alle mie radici. E poi la prima uscita per le strade del rione ad incontrare gli amici e le amiche che sono rimaste, nell’aria i profumi del pane e delle caffetteire, dei dolci, il caloroso chiasso dei saluti di strada e la musica delle cucine fuori dalle finestre. I giorni volano e si appresta il ritorno e sai che comunque quel che lasci forse l’anno prossimo non lo ritroverai, mancherà qualche amico, qualche casa è stata abbattuta per far posto ad una mostruosità; cammini e cerchi di immagazzinare il più possibile suoni e odori affinchè diventino memoria quando in certe mattine fredde e umide in un contesto diverso aprirai gli occhi al risveglio. Più di tutto ti mancherà il mare e la voce della risacca! Ti mancheranno i volti che più ami in quell’altro emisfero così diverso, così solo, così freddo e distante; e sai pure che la tua forza è dentro di te, nel tuo nome o soprannome che hai portato con te, nei profumi e negli usi nei costumi, nel tuo dialetto linguaggio imperfetto e musicante, nelle tue origini, anche quando offendono chiamandoti con disprezzo terrone, o quando dei cartelli alle porte ti hanno vietato l’ingresso. Non t’importa del pregiudizio nei tuoi confronti perché sai che volgendo lo sguardo da qualsiasi latitudine tu venga a trovarti da qualche parte troverai il mare e i traghetti, le magiche visioni di tramonti mozzafiato e le albe incappucciate di chiari celestini, sentirai perfino il profumo della zagara, è questa la forza: sentirsi a casa propria, calabrese orgoglioso d’esserlo dal Veneto in su verso la Germania, l’Europa del Nord, verso l’altra parte del mondo, perché anche se non ci sentiremo austriaci o tedeschi, inglesi o francesi, americani, argentini o brasiliani e nemmeno più catanzaresi o cosentini, riggitani, saremo sempre nel cuore “ Calabresi “ nel bene e nel male e non è poco!