Ugo di San Vittore teologo del XII secolo profeta dei nostri giorni

La responsabilità verso la nostra storia e il nostro tempo ci interroga. Trovare delle risposte non è semplice, ma è necessario non lasciarsi sopraffare dalla sensazione di impotenza di fronte alle sfide che attendono le piccole così come le grandi comunità in cui ognuno di noi ha scelto o si ritrova a vivere. Una prima risposta potrebbe rintracciarsi nel ruolo che le associazioni del territorio potrebbero avere nella promozione sociale e culturale – che va a tradursi indirettamente sul piano politico, nel suo significato nobile, di responsabilità etico-civile per la crescita democratica della propria “polis”- attraverso un rapporto dialettico di collaborazione con le istituzioni, di proposta ma anche di protesta quando le stesse vengono meno alla loro funzione di servizio ai bisogni collettivi. Sul territorio comunale di Limbadi esistono diverse realtà associative, nate per quell’innato bisogno di mettere insieme impegno, responsabilità, volontariato e sensibilità etica, per migliorare la qualità della propria vita in stretta connessione con quella altrui; tutto ciò avviene attraverso gli ideali e i principi che muovono le persone ad associarsi e collaborare. Di fronte alla crescente disgregazione delle comunità registrata in modo drammatico negli ultimi tre decenni, oggi si avverte sempre più forte il desiderio di riconoscersi in una nuova identità sociale e associativa, rispetto ai mutamenti che sono avvenuti nel campo delle relazioni umane. Oltre che un animale sociale, l’uomo è soprattutto un soggetto culturale, che ha sempre espresso questa sua vocazione attraverso il desiderio di trovare forme sempre più creative di espressione e di elaborazione simbolico-artistica . Con la rivoluzione informatica, il rischio più forte è che la comunicazione assuma sempre più marcatamente i caratteri della virtualità (non a casa si parla di identità virtuale o perdita della propria identità). Per questo motivo si rende necessario creare momenti di incontro reale, con il ritorno all’agorà dove poter condividere uno spazio fisico, in cui si riconosca il valore dei linguaggi caldi, verbali e paraverbali, per riattivare la funzione emotiva della comunicazione umana, e riscoprire la bellezza del riconoscersi attraverso i segni di una identità vera, autentica, cercando di spogliarsi delle tante maschere che i processi sociali e mediatici ci assegnano e dei ruoli nelle tante fiction in cui ognuno di noi, suo malgrado, si ritrova a dover recitare. Questa sarà la missione del mondo associativo che spinge i cittadini al confronto, all’incontro, a creare interrelazioni più dirette, come accade nella cultura orale (di cui siamo eredi come figli della millenaria tradizione civiltà contadina) che presuppone un dialogo: ed è la viva voce delle persone, in carne e ossa, ad esprimersi, con le tonalità, le risonanze, le inflessioni e la gestualità, che forniscono informazioni ed esperienze emotive che sfuggono sui social – la attuali piazze virtuali e gli altri “non luoghi” – sempre più freddi e alienanti. Se da una parte la rivoluzione digitale ha permesso soprattutto alle piccole comunità di costituirsi come “villaggio globale” e a rompere il rapporto periferia-centro, dall’altro, le stesse comunità, possono rappresentare l’antidoto contro l’isolamento sociale che la tecnologia, per sua natura, impone, creando momenti associativi di vera cultura umana e sociale, in cui il logos, la parola, il discorso, il verbo, il linguaggio, si riappropriano della loro fondamentale centralità emotiva e comunicativa nella vita collettiva, per la costituzione culturale di una “antica e nuova” identità umana ed etica, in cui l’Io diventi il Noi, il Singolare diventi Plurale, e si bandisca l’ego-centrismo. E’ solo quando si realizzano queste istanze che l’azione delle associazioni può cambiare le sorti delle comunità e avere un ruolo incisivo anche sul senso da dare alla propria vita – senza essere condizionati dai poteri che tentano di orientare il modo di pensare, se non addirittura manipolare le coscienze e creare organismi geneticamente manipolati. In altri termini: è nella condizione di non sentirsi soli e isolati, è con la forza delle proprie idee, che si costruisce la dimora in cui possano coabitare passione, desiderio, impegno, motivazione, salute sociale e spirituale; altrimenti saremo sempre degli estranei in patria. Viene in mente, a tal proposito, ciò che aveva profetato, nel XI secolo, Ugo da San Vittore (Ducato di Sassonia, 1096 circa – Parigi, 11 febbraio 1141, teologo, filosofo e cardinale francese, tra i principali teorici della scolastica, venerato come beato dalla Chiesa cattolica), citato opportunamente nel libro dell’antropologo-linguista Cvetan Todorov , La conquista dell’America. Il problema dell’«altro» (edito da Einaudi nel 1984), in cui, ricostruendo il massacro compiuto dagli europei dopo la scoperta del continente americano da parte di Colombo, testimonia come la nostra condizione esistenziale deve essere improntata all’incontro con l’Altro e non alla sua distruzione, al suo annientamento, citando le parole di Ugo da San Vittore: “L’uomo che trova dolce la sua patria non è che un tenero principiante; colui per il quale ogni terra è come la propria è già un uomo forte; ma solo è perfetto colui per il quale tutto il mondo non è che un paese straniero”. Siamo arrivati, appunto, nella condizione di sentirci “stranieri in patria”, perché ognuno di noi si chiude in un recinto e crede di essere protagonista del proprio destino attraverso l’apparire, o addirittura vittima dei “like” (la nuova identità virtuale), estraniandosi da tutto il resto; la condizione di essere stranieri è quella di aprirsi alla conoscenza dell’altro, incontrandolo e guardandolo negli occhi, senza timore e senza pregiudizi, per sentirci quantomeno “forti”; altrimenti resteremo “teneri principianti”. Uno dei problemi storici e antropologici che ha reso debole il tessuto umano e sociale dei nostri territori, è proprio la difficoltà di creare aggregazione; c’è infatti una forza (insita forse nel nostro DNA?) che agisce in profondità e genera disgregazione; si pensi ad esempio al fenomeno migratorio, o come l’interesse privato abbia sempre soppiantato quello pubblico con la distruzione dei beni collettivi che formano la nostra cultura, oppure l’utilizzo di risorse, come l’ambiente e il paesaggio, per fini illeciti, inquinando o facendo scempio del territorio, non comprendendo che tutto questo diventa un boomerang anche per chi nell’immediato pensa solo al proprio meschino e miope tornaconto, solo se riflettesse sull’aumento dei tumori, che non risparmiano nessuno. Dobbiamo ripensare, non solo ai nostri comportamenti, ma anche rifondare la cultura sociale, che dia forza alla coscienza etica e alla sensibilità estetica, con una nuova idea che parta dal mondo associativo, in cui le persone dialetticamente si riappropriano degli spazi democratici per discutere del proprio futuro. È con questo spirito che la Pro Loco e la redazione della rivista Prologos sono stati artefici di un incontro con le associazioni del territorio comunale di Limbadi e con alcune associazioni di quello di Nicotera, per discutere del loro ruolo e impegno, rispetto ai problemi più urgenti che vivono i cittadini, e aprire un dialogo con le varie istituzioni locali affinché si dia risposta alla comunità. Hanno partecipato i presidenti e componenti del direttivo delle associazioni “Solidarietà Mariella Siclari Mariani”, complesso bandistico “Diego Taverniti” e “San Pantaleone”, “Biblioteca Salvatore Corso onlus”, gli animatori dell’Azione cattolica di Limbadi e gli esponenti di Nicotera Nostra e dell’azione cattolica “Don Staropoli” di Nicotera, rappresentati da Nicola Di Bella e Gaetano Aurelio. All’ordine del giorno, oltre alle priorità da affrontare sul piano urbano, sociale e culturale, anche l’organizzazione di un incontro pubblico per aprire un dibattito sul valore e sulla funzione dell’associazionismo, che si dovrebbe tenere a giugno.