Al Boiardo di Scandiano Federico Tiezzi rilegge Pirandello

Continua al Boiardo di Scandiano il teatro d’autore e gli spettacoli di prosa più “classici” ma interpretati da registi e attori contemporanei. Martedì 11 marzo alle ore 21 è la volta di Federico Tiezzi che “rilegge” in chiave contemporanea il Pirandello di “Non si sa come” che vedrà sul palcoscenico Sandro Lombardi, Francesco Colella, Marco Brinzi ed Elena Ghiaurov per la Compagnia Lombardi-Tiezzi.

Non si sa come è un dramma in tre atti scritto da Pirandello nel 1934. Ispirato alle novelle Nel gorgo (1913), Cinci (1932) e la realtà del sogno (1914) ed ideato per essere interpretato dall’attore austriaco di origini italo-albanesi Alessandro Moissi, che però morì il 23 marzo 1935, prima della messa in scena che avvenne con la Compagnia Ruggero Euggeri il 13 dicembre 1935 al Teatro Argentina di Roma.

Dopo aver messo in scena nel 2007 I giganti della montagna, Federico Tiezzi conferma il suo interesse per la fase estrema del drammaturgo siciliano: Non si sa come contende ai Giganti il titolo di ultimo dramma composto dallo scrittore che si spegnerà a Roma nell’inverno del ’36. Lo spettacolo succede all’allestimento di Un amore di Swann, dal romanzo di Marcel Proust, e costituisce l’ideale “secondo tempo” di una riflessione scenica sull’ebbrezza e la tortura dell’amore: un amore inteso non solo come manifestazione emotiva, ma come lo spazio di una violenta verifica della “tenuta” della condizione umana nel momento della sua più alta e significativa tensione storica ed esistenziale. Scritta a Castiglioncello nell’estate del 1934, Non si sa come è una commedia drammatica in tre atti di Luigi Pirandello ispirata ad altre tre novelle scritte dallo stesso nell’ultimo ventennio: Nel gorgo, La realtà del sogno, Cinci . La messa in scena si apre su un quadretto di genere idillico, quasi stucchevole: una mattina sul finire di settembre, sull’incantevole terrazzo della casa di Giorgio Vanzi, i protagonisti, che appartengono evidentemente a una borghesia agiata, conducono una vita disinvolta tra tavolini-bar e mobili da giardino. Di Giorgio Vanzi sappiamo solo che è un militare di Marina, si presume ufficiale, mentre Nicola Respi frequenta il Circolo della Racchetta, luogo che indulge al pettegolezzo. È proprio nella cornice di annoiati salotti borghesi che si svolge una storia che di annoiato e convenzionale non ha nulla. Al centro del dramma vi è il rovello di Romeo Daddi il quale, dopo aver ceduto un momento alla passione per Ginevra, moglie dell’amico Giorgio, si rende conto di quanto sia facile commettere un atto che forse può rivelarsi una colpa, senza averne responsabilità, perché il fatto è accaduto non si sa come, fuori della coscienza di chi lo ha compiuto. Ci sono dunque delitti innocenti, atti irriflessi che marchiano a fuoco le vite umane. A tormentare Romeo sono tutti quegli atti che, non si sa come, ci portano a fare quello che facciamo. Preso dall’irrefrenabile desiderio di scoprire negli altri questi delitti Romeo dà inizio a una specie di seduta freudiana di gruppo. Da questa situazione di partenza Pirandello svolge uno dei suoi drammi più feroci e strazianti, immergendosi, come armato di un bisturi dell’animo, nei labirinti segreti del cuore e della psiche umani, nell’ennesimo tentativo, più che mai riuscito, di dimostrare che «ciò che noi conosciamo di noi stessi, non è che una parte, una debolissima parte, di ciò che siamo» (Giovanni Macchia). Dando alle stampe nel 1981 una raccolta di saggi sul drammaturgo siciliano, e intitolandola Pirandello e la stanza della tortura, il francesista Giovanni Macchia individuava una formula interpretativa ricca di sviluppi non solo critici ma anche e soprattutto legati alla pratica scenica. La claustrofobia dei salotti, delle camere da pranzo o da letto, delle chiacchiere mondane, dei triangoli amorosi e quant’altro, non ci appare più solo una feroce critica a una borghesia meridionale morente, avvelenata dai suoi stessi imperativi morali e sociali. Questa critica, naturalmente, resta, e tuttora palpita di ragioni vitali, ma la potenza drammaturgica di Pirandello non si esaurisce in essa. Grazie al grimaldello critico della formula di Macchia, essa prende ad aprircisi oggi anzitutto come una nuova proposta di spazio scenico. Lo spazio della mente, lo spazio dell’anima, lo spazio dell’inconscio, lo spazio dell’autoanalisi e quello delle terapie impossibili. La tortura, insomma, che ognuno di noi esercita su se stesso nello sforzo di comprendere il mondo, i propri istinti, i desideri, e la presenza dell’altro, della donna, il mistero delle relazioni interpersonali che sfuggono alla razionalità e su cui questa, purtuttavia, non cessa di esercitarsi fino a ulcerazioni estreme. In quest’ottica anche il più polveroso dei salotti o la più dimenticata plaga campestre sicula sono in grado di offrire bagliori che rimandano a Proust, a Freud.

Federico Tiezzi inizia a rivelare la sua attitudine al teatro giovanissimo esercitandosi sulla regia, negli anni del Liceo infatti insieme ad alcuni compagni di scuola fonda la Compagnia dei Tre e allestisce alcuni spettacoli nei quali applica, a una cultura principalmente letteraria, i metodi del Living Theatre e di Jerzy Grotowski. La tragedia e la commedia greca sono i suoi costanti punti di riferimento insieme ad autori quali Peter Weiss, Allen Ginsberg, Federico Garcia Lorca, Pier Paolo Pasolini, Bertolt Brecht. I primi spettacoli (allestiti tra il 1968 e il 1970) utilizzano i testi di questi autori all’interno di scritture drammaturgiche originali. Oltre alla letteratura drammatica diviene suo costante punto di riferimento il cinema classico Ejzenstein, Ford, Murnau, Grittith. Nel 1970 Tiezzi si trasferisce a Firenze dove fonda la compagnia Il Carrozzone, che si fa subito notare nell’ambito delle gallerie d’arte contemporanea perchè gli spettacoli sono fortemente influenzati dal teatro classico giapponese No e da quello classico indiano Kathakali. Invitato da Giuseppe Bertolucci al I° Festival di Musica d’Avanguardia e di Nuove Tendenze a Salerno il suo spetatcolo La donna stanca incontra il sole, dalla forte matrice figurativa, impone la compagnia a livello nazionale come una delle esperienze di punta dell’allora nascente Teatro-Immagine, di cui fanno parte registi quali Mario Ricci, Giuliano Vasilicò, Memè Perlini, Carlo Cecchi, Leo de Berardinis. Nel 1977 si laurea a Firenze con Roberto Salvini in Storia dell’Arte con una ricerca iconologica sulla teatralità nella scultura di Claus Sluter e nel tardo gotico europeo, ispirata ad Aby Warburg e Erwin Panofsky, due nomi che lo accompagneranno negli anni della sua ricerca teatrale. In tutto il lavoro di Tiezzi è sempre ben presente un forte contatto con le arti visive in particolare con la Boby art, l’arte concettuale, la minimal art e rapporti con artisti delle avanguardie come Dan Flavin, Andy Warhol, Vito Acconci, Alighiero Boetti ed è evidente il contatto con il cinema, attraverso la citazione, negli spettacoli, di immagini e brani di sceneggiature di registi quali Orson Welles, Michelangelo Antonioni, Jean-Luc Godard. Alla metà degli anni ’80 inizia a teorizzare e praticare una forma di teatro di poesia volta a coniugare drammaturgia in versi e scrittura scenica, vincerà nel 1984 il secondo premio Ubu per lo spettacolo Genet a Tangeri, come miglior spettacolo italiano. Dal 1989 dirige a Prato il Teatro Metastasio e propone tre spettacoli che teatralizzano la Divina Commedia, affidando la rielaborazione drammaturgica a tre poeti: Edoardo Sanguineti, Mario Luzi, e Giovanni Giudici.I lavori successivi si iscrivono nell’ambito di una moderna riappropriazione dei classici.

Tiezzi inoltre sin dall’inizio del suo lavoro è affascinato dal teatro musicale, sono diverse le collaborazioni con musicisti di vari generi musicali (Azio Corghi, Brian Eno, Jon Hassell).

Nel 1998, con lo spettacolo Scene di Amleto I, creato per il Teatro Fabbricone a Prato (Premio Ubu per la miglior regia) sigla l’apertura di una fase nuova di lavoro su Shakespeare dove metterà in scena diversi capolavori del grande artista. In tutti questi anni il lavoro di Tiezzi si è spinto – sia nella drammaturgia classica e moderna, sia nella lirica – sempre più verso l’astrazione figurativa, in un rapporto costante con le arti visive e la musica; verso la ricerca di uno spazio emotivo, che gli permetta maggiormente di isolare e approfondire i personaggi, la recitazione (dei cantanti e degli attori) le situazioni drammatiche e la musica, in tutta la pienezza del loro significato; verso una pedagogia dell’attore che coniughi tradizione e contemporaneità. E proprio nella regia lirica sperimenta nuove forme recitative e interpretative mutuate dalla continua ricerca laboratoriale caratteristica dei suoi spettacoli teatrali.

Il costo del biglietto intero è di Euro 18, ridotto Euro 16 per le persone fino a 29 anni e oltre i 60 e per gli abbonati alla rassegna cinema d’essai, i soci Coop e i soci cooperativa Azzurra. Per informazioni Cinema Teatro Boiardo tel: 0522/854355. [email protected]