Caserta, bufera sull’Asl 11 in manette arrestato il consigliere regionale Angelo Polverino

Un vero e proprio terremoto sulla sanità casertana che ha portato all’esecuzione di undici misura cautelari in carcere e ai domiciliari per reati commessi con l’aggravante di aver agevolato clan camorristici del Casertano. Il provvedimento emesso dal Gip del Tribunale di Napoli colpisce alcuni dirigenti dell’Asl di Caserta, il consigliere regionale Angelo Polverino (PdL) e imprenditori ai quali sono contestati, in riferimento alle specifiche posizioni, i reati di concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso, abuso d’ufficio e turbata libertà degli incanti, “avvalendosi del metodo mafioso e, comunque, al fine di agevolare l’associazione camorristica (sodalizi “Belforte di Marcianise e “dei Casalesi”, nonché quello di corruzione” secondo l’accusa.

Il consigliere coinvolto nell’indagine è stato trasportato al pronto soccorso dell’ospedale civile di Caserta, piantonato dai Carabinieri. Angelo Polverino ha accusato un malore al petto, sarà sottoposto a tutti gli esami del caso.

L’attività investigativa si è svolta attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, riprese video, servizi di osservazione e pedinamenti, nonché attraverso l’acquisizione di documenti che hanno permesso, secondo l’accusa, di raccogliere a carico degli indagati un grave quadro indiziario, in relazione a vicende riguardanti un giro d’affari milionario. Spicca l’aggiudicazione di gare d’appalto per la gestione dei servizi di pulizie nelle strutture sanitarie locali. In particolare, le vicende relative all’affidamento, “senza una regolare gara d’appalto”, del servizio di pulizie ad una azienda che si ritiene vicina al  clan Belforte, “nonché nell’arbitraria proroga per ulteriori tre anni del contratto in questione, proroga avvenuta un anno e mezzo prima della naturale scadenza del contratto. Quando poi la stessa ditta veniva colpita da interdittiva antimafia, l’incarico veniva revocato soltanto dopo sei medi dalla comunicazione del provvedimento restrittivo”. Successivamente, “a seguito della revoca l’appalto passava, per i successivi tre anni, a una ditta riconducibile, secondo la ricostruzione accusatoria, al sodalizio dei Casalesi”. Alla scadenza di quest’ultimo appalto, l’imprenditore avrebbe tentato in ogni modo di aggiudicarsi la nuova gara utilizzando una ditta con sede nell’Italia settentrionale.