San Nicola da Crissa, i cento anni di Caterina Iozzo festeggiata dai due figli e da tutti i nipoti, parenti e dalla comunità

Un corale e intenso abbraccio della comunità per festeggiare i cento anni di Caterina Iozzo. Ma l’emozione più forte è stata quella dei figli, Vito e Maria Costanza Teti, dei rispettivi consorti Felicia Malfarà e Vito Galloro, e dei quattro nipoti diretti, Stefano, Caterina, Angela e Nicola, oltre ai tanti altri nipoti, figli dei fratelli, ai parenti giunti da ogni parte e ai compaesani. A partecipare alla festa che si è svolta nella casa di famiglia, anche l’amministrazione comunale con il sindaco Giuseppe Condello e la parrocchia e il suo parroco don Tonino Vattiata. Oltre 100 persone hanno scandito gli auguri a questa donna con una storia lunga un secolo. Quanti avvenimenti sono accaduti da quel lontano 23 ottobre 1913 a oggi che hanno sconvolto il mondo!… I pensieri si fermano nella specchio della storia e della memoria.  Lo sguardo di Caterina non era rivolto solo indietro, ma proteso anche verso il futuro, con una tensione segnata dalla grazia interiore e umana che oltrepassa il tempo. È come se Kronos, ad un certo punto, avesse ceduto il passo a Kairos, il tempo della divinità, che scaturisce ignoto e visibile, a contrassegnare un momento speciale, l’oltre temporale.

 Nell’albero genealogico di Caterina Iozzo ci sono artigiani (ramo paterno), e contadini (ramo materno).  La sua vita è stata caratterizzata dall’attesa: il padre emigra negli Stati Uniti, e dopo anche lei vive la separazione dal marito, Stefano Teti, scomparso nei primi anni del duemila (classe 1909), emigrato nel Canada (1952). In quegli anni porta sulle sue spalle il peso della famiglia (intanto nasceva il suo primo figlio, Vito) fino al ’58, anno del definitivo rientro del marito.

In questo viaggio nella storia familiare, ci guida proprio il figlio, il professor Vito Teti (ordinario di Etnologia all’Università della Calabria e direttore del Centro di Antropologie e Letterature del Mediterraneo) che ha raccontato della madre in uno dei suoi ultimi libri, Pietre di pane, non a caso nel capitolo che chiude la narrazione sulla antropologia della “restanza”. Il professor Teti  rivela i segreti della longevità della madre, ma anche la grande e incommensurabile forza di generazioni di donne che hanno retto la sorte di tante comunità nel nostro territorio. In particolare racconta che tra i componenti della famiglia materna, ci siano storie di donne “casiste”, cioè spose di Cristo, dedite alla preghiera e al telaio. “Mia madre e mia nonna – ricorda  – fino agli anni ’50 lavoravano al telaio il lino, la canapa, la ginestra e allevavano il baco da seta”. Ma un altro aspetto segna la vita della madre: il grande patrimonio di cultura orale che tuttora conserva con maestria nella recitazione di una filastrocca, una sorta di preghiera-mantra per scongiurare la solitudine: “Anima mia soletta soletta/tando Dio sinde diletta/ e ti veni a consolar/ e cu tia si mette/ a ragionar” . Dio non abbandona i suoi figli se sanno dialogare con lui. Così, animata da questo spirito, la sua attività non si è fermata nemmeno quando si è rotta il femore nei primi anni ’80, costringendola all’immobilità fisica e alla “restanza” in casa per tutti questi anni.

Le parole del figlio ritraggono una donna che ha rappresentato una sorta di nume tutelare della famiglia, un archivio vivente con una straordinaria vitalità: “Mia madre continuava a fare le cose con le mani dei figli”, confida; tuttora, aggiunge, “decide il menu nelle ricorrenze religiose come da tradizione”. L’altro segreto è lo stile di vita. Un’alimentazione frugalissima, la classica dieta mediterranea, a base di verdure, insalate, legumi, frutta, poca pasta e pochissima carne, soltanto un po’ di pesce azzurro. Dell’uovo solo l’albume. Questo tipo di dieta ha impedito che la protesi potesse arrecare danni gravi al bacino, sconfiggendo quei medici che avevano effettuato una diagnosi frettolosa di carattere economicistico; ma è anche la dimostrazione che la vita può essere vissuta con dignità anche quando c’è una disabilità. “Non è vero – afferma l’antropologo – che la vecchiaia equivale a voglia di morire e di abbandonarsi ad una ineluttabile apatia”. Significativa infine, l’emozione che il figlio tradisce non solo per il forte legame, ma anche per quello che la madre ha rappresentato: “Se io sono diventato quello che sono, uno studioso di storia e uno scrittore, lo devo a lei, in particolare per i valori umani ed etico-morale che mi ha saputo trasmettere, un sentimento religioso della vita  vissuto nella pietas, nell’amore e nella solidarietà per gli altri”.

Tanti auguri a Caterina che si è lasciata alle spalle il secolo breve nell’impresa di scalare il nuovo millennio!