Umberto Zanotti Bianco nel 50° della morte l’apostolo laico che scelse la Calabria come terreno privilegiato del suo impegno

  Il 28 agosto 1963 si spegneva a Roma Umberto Zanotti Bianco, l’ “apostolo laico” che scelse la Calabria come terreno privilegiato del suo impegno di filantropo, scrittore, e archeologo. Ha speso i migliori anni della sua vita a beneficio della nostra regione con opere umanitarie, culturali, contro l’analfabetismo istituì scuole e asili e assieme all’altro grande archeologo, Paolo Orsi, contribuì alla scoperta delle origini della Magna Graecia. In quanto cofondatore e primo presidente dell’associazione ambientalista Italia Nostra è stato ricordato, con manifestazioni varie, da tante sedi locali del sodalizio. Tra le altre, in Calabria, è stato celebrato a Crotone nel Parco “Zanotti Bianco” di via 25 Aprile e a Limbadi, in provincia di Vibo Valentia, con l’intitolazione di una strada, quella stessa strada che nel 1958 il filantropo cretese percosse per  un sopralluogo sul sito dove si rinvenne un reperto del V sec. a. C. In questa circostanza mi piace ricordare Zanotti Bianco rileggendo il suo libro Tra la perduta gente del 1928, Si tratta di un diario attraverso le sofferenze e le sconfitte della gente di Calabria agli inizi del ‘900 e subito dopo il disastroso terremoto del 1908, come non fossero bastati i sismi del 1638, del 1783 e del 1832 e solo per citare i più devastanti. Come non fossero bastati peste, siccità e carestie del ‘600. E a ciò bisogna aggiungere, non in dimensione secondaria, le invasioni di barbari e meno barbari e comunque famelici predatori di questa terra. Spinto dall’ispirazione religiosa modernista che si respirava tra gli amici attorno al Fogazzaro, Zanotti Bianco si spinge in Calabria all’indomani del terremoto dello Stretto e comprese da subito il dramma umano e sociale delle nostre popolazioni causato da secolari abbandoni. E ci mancava pure il terremoto. E amaramente, come già aveva fatto Mastro Bruno Pelaggi, il poeta-scalpellino di Serra San Bruno, e tanti altri, doveva gridare il suo “vivo risentimento contro le maledette preoccupazioni elettoralistiche che viziano l’amministrazione di tutta la nostra vita pubblica”. Ma non si trattava solo di questo. La cancrena partiva da molto lontano. “Che cosa resta – si chiedeva Zanotti Bianco – più delle famose città che i Greci fondarono su questi due mari e che ebbero una fioritura così vivida e intensa, oltre l’alone di poesia e di gloria che circonda i loro nomi?Faticosamente l’archeologo tra dense macchie e acquitrini disseppellisce fondamenta solitarie di templi, rocchi di colonne, frammenti di terrecotte…ma non un’anima è tornata a dire il perché di tanta desolazione […] Tutto ciò che altrove forma la vivente tradizione d’una terra, il retaggio d’arte e di bellezza dei padri, la silenziosa educatrice della sensibilità nazionale, qui è stato distrutto se non dalla violenza degli uomini, dalla furia apocalittica degli elementi che con persistenti attacchi hanno di secolo in secolo raso al suolo” tutto o quasi, naufragato nel silenzio e nell’oblio”. Solo fame, dagli imperscrutabili sentieri dell’Aspromonte fino all’invalicabile Pollino passando per piane e fiumare senza una più precisa morfologia, e abbandono e desolazione tra “creature di sofferenza e di miseria che mi facevano sentire come null’altro mai il vincolo della solidarietà nel dolore, e mi davano il desiderio di esiliarmi tra loro per un sogno disperato di redenzione sociale.” Per realizzare tale, quasi impossibile, progetto, il meridionalista venuto dal nord capì che era necessaria un’ “azione continua e metodica”. Così nel 1910, a Roma, veniva fondata l’Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia (Animi) che vide accomunati allo Canotti Bianco anche altri meridionalisti quali Lombardo Radice, Villari, Fianchetti, Fortunato e Salvemini. I primi anni dell’attività associativa in Calabria furono davvero difficili. Le diffidenze e le ostilità verso i giovani volontari settentrionali crescevano quotidianamente fino alla rinuncia delle iniziative promosse dall’Associazione. Ed è da qui che Zanotti Bianco decideva di scendere in campo trasferendosi definitivamente in Calabria per dar vita personalmente all’opera di riscatto culturale, sociale ed economico dei paesi più sperduti ed abbandonati dell’Appennino calabro. C’era davvero molto da fare. Quello che si mostrava agli occhi del nostro benefattore era un “popolo degradato all’eccesso, non conosceva pudore!…uniti senza matrimonio ecclesiatico, spesso senza civile…uso bestie”. Di sicuro anche Carlo Levi avrebbe detto di queste gente: “Se questo è un uomo!” “Vivono in vere tane di circa 8 o 10 metri quadrati, albergano e dormono quasi insieme, i genitori, i figli, il maiale, delle pecore, delle galline ed altre bestioline innominabili. […] In uno di questi vani vidi nella penombra steso su d’un letto, accanto ad un malarico febbricitante, un grosso maiale: – Issu trema pu frevi – mi spiegaronou porcu nci duna u focu soi -Per conseguenza, le malattie invadono e soggiornano senza tregua. I poveri infelici, per giunta, sono senza medico e senza medicine. Non si trova pane, la miseria regna sovrana.” Insomma, come ebbe a dire, in un convegno di qualche anno fa, il prof. Carmelo Filiamo, “la Calabria divenne il terreno privilegiato delle attività di Zanotti Bianco ed anche di sperimentazione della sua enorme capacità umana e culturale che si esplica con le analisi sul territorio e sul problema del trasferimento degli abitati dopo l’alluvione, la difesa e il risanamento del suolo, il legame tra città e campagna, zone litoranee e zone interne. Legato a questi temi è per lui il discorso emancipazione-educazione, scuola-cultura, l’istruzione, l’introduzione di metodi scolastici nuovi, la presenza dello Stato soprattutto per l’edilizia scolastica rurale e l’educazione degli adulti”. E non si pensi che Zanotti Bianco abbia avuto vita facile nella sua opera di risanamento e rieducazione chè talvolta gli ostacoli gli venivano dalla politica, non dalla nobile politica, ma da quella dei miserabili politicanti e politicucci di sempre. Come quella volta che, come annotava amaramente,  “la nostra Associazione è riuscita a far destinare quassù un giovine dottore confinato politico al quale verrebbe affidato l’ambulatorio che la nostra infermiera sta impiantando. Ma il commissario, per far risaltare in prefettura il suo zelo, si ribella a che il suolo del suo comune venga profanato da un antifascista e cerca di fare annullare il provvedimento.” Per fortuna di tutti, passato il “ventennio”,  l’attività di Zanotti Bianco riprendeva più alacremente e su più vasto territorio. Fece sue, fino all’estremo limite delle forze fisiche, le parole di Gaetano Salvemini: “Dinanzi alle opere difficili non si devono misurare le difficoltà, ma le necessità”. Così giustamente si meritò i ringraziamenti di quella derelitta gente di Calabria: “Benedittu siti vui che venisti a trovari u popolu ebreu!”