Rombiolo, la vicenda del brigante Villella e le teorie razziali dell’antropologo positivista Cesare Lombroso

Come leggere la storia che ci appartiene? Con quale sguardo? E come restituire dignità alla verità storica rispetto  ai paradigmi dominanti con cui viene scritta e raccontata? Sono interrogativi che si pongono in particolare quando toccano nel vivo la nostra memoria e i modelli culturali e identitari su cui si costruisce e si costituisce il metodo di ricerca e la conoscenza storica in relazione ai valori con cui ci rapportiamo al passato. Tutto questo è emerso nel corso dell’incontro-dibattito “Razza maledetta o sguardo razzista? Briganti meridionalisti e antropologi positivisti: il caso del brigante Giuseppe Villella” (sera di domenica 4, Pernocari di Rombiolo).  Le analisi, le diverse interpretazioni e riflessioni, si sono sviluppati intorno alla nota contesa che ha contrapposto il comune di Motta Santa Lucia (provincia di Catanzaro) e il Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso”( beneficiario di un finanziamento di 3 milioni e mezzo di euro nell’ambito dei festeggiamenti per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia) per la restituzione dei resti del brigante Giuseppe Villella, promossa dal sindaco di Motta Amedeo Colacino, con il comitato “No Lombroso”.

Il dibattito ha messo di fronte lo stesso sindaco di Motta Santa Lucia, il prof. Vito Teti (antropologo all’Unical), il prof. Antonio Pugliese (Università di Messina) e Gaetano Luciano (presidente della Delegazione Vibonese di Italia Nostra).  Ad introdurre la manifestazione  gli intereventi del sindaco dell’amministrazione comunale di Rombiolo Giuseppe Navarra, del vicepresidente dell’associazione Alma Tellus Francesco Brosio, di don Francesco Pontoriero (parrocchia San Nicola-Calimera).

L’iniziativa ha contrassegnato l’inaugurazione della sede sociale dell’associazione culturale Alma Tellus, grazie alla disponibilità dell’Amministrazione comunale e all’impegno in prima persona del sindaco Giuseppe Navarra. A presentare la manifestazione  il presidente di Alma Tellus, Nicola Rombolà, il quale ha spiegato che il dibattito rientra nell’ambito della “Campagna di impegno etico ed ecologico, per una terra che lavora con onestà, che accoglie e che raccoglie contro ogni forma di discriminazione culturale e materiale, di emarginazione e di ingiustizia sociale”, promossa in coerenza con le finalità etiche e culturali dell’associazione. Tra le quali il lavoro della terra, il patrimonio umano, materiale e culturale della civiltà contadina, il rispetto dell’ambiente e della salute attraverso una nutrizione consapevole e ridare dignità morale e materiale all’essere umano, capovolgendo il modello storico-sociale che ha visto i contadini come una classe subalterna da sfruttare. “L’unica ri-evoluzione possibile – ha inoltre ribadito Rombolà –  è il lavoro onesto della terra e la tutela della salute e dell’ambiente; ciò si può ottenere cambiando il proprio stile di vita per contrastare questo sistema capitalistico-finanziario che ha prodotto e produce disastri, malattie sociali e profonde ingiustizie, con la distruzione dei beni più preziosi, come la condivisione, la solidarietà, l’equità e la salute del corpo e dell’anima. Il cibo è cultura – ha sottolineato  – e diventa non solo un fatto fondamentale per la nostra sopravvivenza, ma anche un atto etico ed estetico, oltre che economico. Con la consapevolezza alimentare ognuno di noi può gettare le basi per una rinascita materiale, etica e culturale del territorio” ha affermato in conclusione il presidente di Alma Tellus, ed ha invitato i presenti a prendere coscienza di questa grande occasione che abbiamo per reagire di fronte ai colossi delle multinazionali per salvaguardare uno dei beni fondamentali, come la salute della terra e quella dell’uomo.

    Ad entrare nel merito della questione il sindaco Colacino, il cui intervento è stato preceduto dalla visione di un breve filmato che ha fatto vedere alcune immagini relative al museo e alle concezioni razziali dello stesso Lombroso, rievocato in un film. Dopo aver ricostruito in modo sintetico quello che è accaduto in Calabria nel periodo storico subito dopo l’unificazione, Colacino ha spiegato che l’intento del comitato è quello di ottenere un risarcimento morale partendo dalla “rivisitazione storica dell’Unità d’Italia”. Ha ricordato come il moto di ribellione si è generato per le condizioni di povertà e di miseria in cui vivevano i contadini e al tradimento delle tante promesse da parte dei Savoia. Per reprimere queste proteste è stato inviato l’esercito piemontese. In questi contingenti c’era anche Lombroso come ufficiale, il quale mise a punto le teorie discriminatorie nei confronti dei calabresi. Di conseguenza il nuovo governo unitario ha emanato la cosiddetta Legge Pica, una legge anticostituzionale in quanto da Roma in giù qualsiasi cittadino poteva essere catturato e ucciso sulla base del semplice sospetto. Come è successo a Villella, che era un contadino promotore di una ribellione per il riscatto della terra.  Il sindaco Colacino ha sottolineato come il “pezzo pregiato” della collezione del museo, è rappresentato proprio dal cranio di Villella, in quanto, avrebbe dovuto dimostrare la tendenza naturale al crimine dei meridionali e dei calabresi, per la presenza della famigerata fossetta occipitale. Il comune ha preso posizione per dare una degna sepoltura, dopo 150 anni, ad un uomo che come tanti altri, ha difeso la propria terra e i propri diritti; ma si tratta – ha ribadito Colacino – anche di una battaglia culturale, di rivisitazione storica: “La vera storia è poco conosciuta. Non vuole essere un ritorno nostalgico al passato; non vogliamo costituire la lega del sud”. Intanto sulla contesa giudiziaria è stata emessa una prima sentenza che obbliga il museo alla restituzione dei resti di Villella.

Su questa storia e sui suoi risvolti, si è soffermato il prof. Vito Teti (autore di un significativo libro che analizza la discriminazione razziale nei confronti del sud, “La razza maledetta, origini del pregiudizio antimeridionale” ), con una ricostruzione storica e antropologica efficace nell’analisi dei fatti e nella contestualizzazione delle vicende. Innanzitutto  ha richiamato il clima che si respirava in alcuni ambienti culturali e scientifici dell’epoca, a partire dagli antropologi positivisti come Lombroso; la sua analisi ha avuto come premessa una importante affermazione: “la storia è un dramma, e perciò bisogna problematizzare i fatti”.  Teti ha illustrato le posizioni di Lombroso, il quale considerava la Calabria come un laboratorio della negatività. Posizioni che ancora trovano terreno fertile, come dimostrano le dichiarazioni di Gianfranco Miglio dei primi anni del Novanta, il teorico della lega Nord, quando affermava che la popolazione del Sud è una razza inferiore, primitiva e maledetta. Ma questa idea e immagine di un Sud primitivo, arretrato, proviene da lontano,a partire  dal ‘500, ha spiegato l’antropologo; ma anche da Napoli i calabresi e la Calabria erano visti come inferiori. In tutto questo bisogna ricordare che la Legge Pica è stata copiata dalla legislazione borbonica. I briganti venivano fucilati già prima del ’48, e non bisogna dimenticare che i Borbone hanno bombardato Palermo e Messina distruggendole  e compiendo stragi ed eccidi: “Lombroso non era un pazzo isolato – ha sottolineato Teti – ma rappresentante di un movimento socialista italiano le cui idee avevano un certo credito in tutto il mondo e anche le posizioni di alcuni ambienti della Chiesa non erano lontane da quelle di matrice lombrosiana, in particolare per quanto riguarda le donne. Lombroso era convinto delle sue teorie a tal punto che spinge i suoi discepoli a dissezionare il suo cranio dopo la sua morte per dimostrare la sua superiorità; ma prendono atto che anche lui aveva la fossetta occipitale. Alla luce di queste interpretazioni, Teti ne deduce che “noi dobbiamo riscrivere la nostra storia e abbiamo bisogno di un risarcimento, come dimostra la storia del brigante Villella, ma non bisogna dimenticare che c’erano lombrosiani meridionali, come Alfredo Niceforo (Castiglione di Sicilia, Messina: “La razza maledetta, che popola tutta la Sardegna, la Sicilia e il Mezzogiorno d’Italia dovrebbe essere trattata ugualmente col ferro e col fuoco – dannata alla morte come le razze inferiori dell’Africa, dell’Australia,..) e Pasquale Rossi (cosentino).  “L’opera di risarcimento non significa però ripristinare il passato”, ha infine concluso l’autore de “La razza maledetta”, e la storia  va letta nei suoi diversi aspetti”.

Il dibattito inoltre è stato arricchito dall’originale intervento del prof. Antonio Pugliese (presidente del Centro Pet Therapy dell’Università di Messina ), il quale ha legato le teorie lombrosiane allo studio della fisiognomica e alla comunicazione attraverso i segni dell’espressione dei volti e del linguaggio paraverbale, mettendo insieme scienza e arte. Secondo questa nuova visione, ha spiegato il prof. Pugliese,  anche la terapia per curare le malattie rappresenta l’aspetto artistico della clinica medica, in quanto scaturisce da un’autentica ispirazione, e ciò si coglie anche dalla teoria dei “neuroni specchio”,  come accade ad esempio alle opere di Giuseppe Pugliese, padre del docente universitario, che sono state esposte durante la manifestazione, in cui, le sofferenze patite a causa delle teorie razziali nazifasciste (è stato infatti internato in un lager nazista) si esprimono nelle figure scolpite che recano i segni profondi dell’immane dolore vissuto.

Sulla questione meridionale e sui problemi legati alle condizioni di arretratezza che hanno caratterizzato la storia del Mezzogiorno e della Calabria, è intervenuto inoltre il presidente della Delegazione Vibonese di Italia Nostra Gaetano Luciano, con un riferimento all’opera di Umberto Zanotti Bianco (torinese e fondatore di Italia Nostra) nel cinquantesimo anniversario della sua morte, per riscattare le classi più emarginate della nostra terra diventata luogo di impegno esistenziale e di cultura, attraverso i tanti progetti realizzati, in primo piano la lotta contro l’analfabetismo e la denuncia dello stato di miseria  e dell’arretratezza  culturale e materiale di alcune zone della Calabria (emblematico il libro “Tra la perduta gente”).  A fare una ulteriore riflessione sulla verità storica e sui temi emersi,  il sindaco di Laureana di Borrello Paolo Alvaro, sottolineando come, alla luce della sua esperienza come insegnante, per conoscere in profondità la storia, sia necessario il fondamentale ruolo della letteratura.” Non si può conoscere l’Unità d’Italia, ad es. se non si legge il Gattopardo di Tomasi di Lmpedusa, oppure Guerra e pace di Tolstoi”. In un certo senso Alvaro ha rievocato le categorie estetiche del vero storico e del vero poetico di matrice manzoniana, codificate quando Manzoni si stava accingendo a scrivere il romanzo storico de “I promessi sposi”.

Importante è stato l’intervento anche del sindaco dell’Amministrazione comunale di Rombiolo, Giuseppe Navarra, il quale ha messo l’accento proprio sull’impegno che deve contraddistinguere una comunità e le istituzioni nel campo della lotta per la restituzione della dignità storica rispetto al sacrificio di tanti patrioti e di tanti cittadini calabresi che hanno compiuto per il raggiungimento della democrazia e dell’Unità, e come sia molto importante discutere, far emergere le questioni; in altre parole, fare cultura sia storica che sociale. A spiegare invece ciò che si propone l’associazione in termini concreti il vicepresidente Francesco Brosio, che si è soffermato anche sul perché era importante discutere della questione della discriminazione razziale e culturale che è dentro la vicenda della brigante Villella, per far conoscere una vicenda a tanti sconosciuta.  In merito  è intervento anche don Francesco Pontoriero (parrocchia di Calimera-San Nicola, che ha officiato il rito di benedizione della sede) il quale ha segnalato l’ingiustizia che hanno subito i nostri avi che si sono spesi per avere un futuro migliore, ma la cui memoria è stata deturpata, tradita e ferita da coloro che avrebbero dovuto riconoscere il loro sacrificio e dare risposte sociali; come accade oggi, con l’attuale crisi che investe non solo l’economia, ma soprattutto le coscienze, in cui l’egoismo e il materialismo stanno uccidendo non solo i valori, ma tanti padri di famiglia; l’appello di don Francesco, di fronte alle menzogne della classe cosiddetta politica, è un invito a reagire con determinazione e lottare contro ogni forma di discriminazione sociale e culturale. Oltre alla esposizione delle sculture di Giuseppe Pugliese, la scenografia della sede è stata contrassegnata dai quadri di un artista vibonese, Maia.

A seguire i presenti hanno partecipato al conviviale Alma Tellus, preparato con i prodotti coltivati con la metodica dell’agricoltura naturale da parte degli associati, tra cui il pane e la pasta fresca frutto del grano coltivato e raccolto quest’anno nella campagna del vicepresidente Brosio, e molito in un mulino a pietra che si trova a nella frazione di Piscopio nel comune di Vibo Valentia.