Poesia per l’estate, Mons. Staglianò e il motore vero Dio

      Don Tonino Staglianò, di Isola Capo Rizzuto con origini paterne da Chiaravalle Centrale, già apprezzato parroco di Le Castella, teologo e giornalista e soprattutto “pastore generoso” come lo ha definito Mons. Graziani nel giorno della sua ordinazione a Vescovo di Noto, è anche poeta, profondo poeta, autore di diverse raccolte di poesie. E perché è poeta?  Si perché la poesia è momento magico, è momento di preghiera e non solo per un sacerdote. Lo stesso vescovo di Noto ce lo spiega. “Le ho scritte [le poesie] pregando e le ho volute comunicare come un dono ed un impegno d’intercessione, di me […] per coloro che leggendole condivideranno il comune itinerario del cuore […] le mie poesie sono come un gemito tra l’esperienza delle mie pochezze e l’anelito a lasciarmi sconvolgere dallo stesso sguardo che Cristo ha rivolto a Pietro, quando gli confermava la sua debolezza e la propria irriducibile carità. […]  È come un appuntamento per confessare con bruciante consapevolezza la smisurata povertà della mia vita e, nello stesso tempo, per rivivificare il mistero che continua a passare attraverso il mio cuore e le mie mani, l’instancabile misericordia di Dio”. Qui mi piace rileggere una delle sue tante sillogi, quella edita nel 1994 dall’Editrice Vanvitelli di Napoli, Cercando oltre – Sporadi poetiche: pensando, credendo. “Nel fondo stesso,/ a cui volevo solo attingere/ acqua con la mia bocca, /ormai da tempo/ alle pupille aderisce splendore…/tante le mie scoperte/ quante mai fino ad ora!/ Qui,/ riflesso dal pozzo,/ scopersi in me/ tanto vuoto./ Che sollievo!/ Non saprò mai trasportarti/ interamente in me,/ ma voglio che tu resti,/ come nello specchio del pozzo/ restano foglie e fiori/ colti dall’alto,/ dallo sguardo degli occhi stupefatti/ occhi più luminosi che tristi”. Sono i versi della lirica “Canto dello splendore dell’acqua” di Karol Wojtyla, il nostro sempre amato Santo Padre Giovanni Paolo II, una delle tante che costituiscono tutta la sua ricchezza poetica e con essa il poeta-sacerdote si innalza, naturalmente con la partecipazione degli uomini, dei fedeli, verso Dio, facilitato dalla fede e trasportato dall’amore, per lodarlo “dovunque esso si trovi” ed in tutte le creature. Una di queste ricreatore, risorsa primaria per la storia dell’uomo, è l’acqua. Alla sorgente d’acqua pura tutti attingiamo forza per andare avanti, per credere nel cammino. Così per il poeta don Tonino diventa Goccia d’acqua nell’arsura come: “Caduta d’improvviso/ in gratuità/ ansiosamente cercata/ nel sogno ancestrale/ regina della mia passione/ medicina aurorale/ nella speranza feconda/ estasi dolce dell’ora presente./ Nel nulla dilagante/ non ti perderò.” Dicevo, l’acqua come risorsa primaria, amore indispensabile tra Dio e l’uomo. Si perché “quando il deserto della monotonia quotidiana rende assolutamente arida ogni nostra esperienza vitale, allora diventa più acuta l’esigenza di dare spazio a ciò che nel profondo corrisponde alle radici della nostra esistenza: la reciprocità dell’amore […] Una goccia d’acqua nell’arsura può riempire e soddisfare più di un fiume travolgente, quando è risposta all’ansioso cercare della vita…”. Come dire: basta poco per sprigionare grande amore. Questo vuol significare il nostro poeta-sacerdote nelle sue liriche. Nasce, però, in noi ed in Staglianò, talvolta, il dubbio se valga la pena di offrire agli altri ansie, se linguaggio e forma poetica riescano ad offrire il meglio. Comunque bisogna camminare oltre il quotidiano per cercare certezza, pace. Per capire ed entrare in tale dimensione leggiamo la lirica Cercando oltre, attraverso la quale don Tonino dice: “Osservo il mare/ e penso:/ nulla è stabile./ Guardo più in là/ e un grido dirompe/ dal profondo:(/ sogno di roccia/ …la pace./ Ti guardo e il Suo occhio attesta/ la sua feconda ricchezza./ Respiro e mi innalzo/ coi piedi a terra/ ora posso volare/ ricerco/ la mia identità perduta…”. Così si commenta il poeta – vescovo. “È l’esperienza più singolare e comune a tutti gli uomini quella del ‘cercare sempre oltre’. Nulla ci sazia,nulla ci basta. Potessimo concentrare, quasi per miracolo, tutti i beni e le ricchezze della terra, non troveremmo soddisfazione. Potessimo vivere gli affetti e i successi più gratificanti, anche questo sarebbe insufficiente. Potessimo esercitare ogni sorta di potere nella società e nella politica, il nostro cuore rimarrebbe inquieto […] Nell’instabilità permanente e universale, l’anelito è trovare approdo, pervenire alla quiete. Così è fatto l’uomo, ogni uomo: tra nullità e ricchezza, un sogno di pace […] L’occhio di Dio, tuttavia, attesta che siamo ‘figli suoi’: la nostra fecondità dipende dal suo sguardo amoroso e misericordioso sulla nostra esistenza. Egli ci tiene per mano e ci conduce. Anche solo la nostalgia di Lui è però consolante: essa è l’insormontabile fondamento del nostro bisogno di trascenderci, di superarci sempre e senza soste, perché attratti dal Bene Sommo, il sogno di roccia, la pace di tutti”. Ho riletto con forte intensità la poesia del vescovo isolano e dalla sua semplicità di linguaggio ne ho ricavato generosità affettiva e coscienza di impegno e di amore. Ogni lirica è testimonianza di alto e sentito senso religioso, di un grido d’angoscia, di un ardente desiderio di approdo finale. La lettura lascia il segno e questo è in esito felice, particolarmente per un poeta e sacerdote che, con la rinuncia a tutte le seduzioni della terra e ai fumi di gloria, interpreta e canta con autentico timbro i valori del pauperismo evangelico. Sarò urgente, in un contesto così frustrante di incertezze, ritrovare il giusto rapporto-equilibrio, tra gratificazione e visione ontologica, che naturalizzi la materia, rendendola un tramite per il raggiungimento di uno Spazio più vero che, senza ombra di dubbio, ci attende alla deriva dei sogni, dei nostri poveri sogni mortali. L’assolutismo dell’imbottigliamento socio-filosofico-etico dovrà risolversi con una ricerca di equilibrio consapevole di ciò che aspetta il pianeta Terra, nel suo umano divenire. Questo ci dice la poesia di Mons. Staglianò: poesia di fede e di messaggi umani. Poesia impregnata di tanto senso umano, anche sofferto, come nei versi di Autunno quando “Cadute interminabili/ tutto sfuma/ e d’intorno tutto cade./ Variando colore/ la foglia anela alla terra/ dolcemente/ parla della fine./ In questa tenebra oscura/ in questo perenne cadere/ io respiro ancora/ e di più/ scopro eternità./ Autunno/stagione di vita.” È poesia che fa ricondurre tutto al motore vero, a Dio, al rispetto delle creature e dell’uomo. Non c’è un solo, nelle poesie del novello Pastore, che esprima dolore, anzi tanta speranza del domani sicuro di pietà da parte di chi tutto può e al quale ogni uomo deve tendere. È poesia che vuole esaltare la dignità dell’uomo liberandolo dall’effimera “ricchezza” terrena, perché la vita è bella se fatta di Miseria. Al postutto, leggiamo nei versi di Mons. Staglianò, il sacerdote-poeta-teologo contro il materialismo, come il “suo” Rosmini.