Poesie per l’estate, I have a dream e Luigi Ruggiero

 “Un cuore che canta” del 1998, una silloge che già ci offre una poetica sofferta e virile nel contempo, fatta di piccole immagini, germogli, fiori, stelle; gioie  ed infelicità;  poesia diretta dal verso pulito che nella sua sincerità lascia, pure, fluire una sottile angoscia che scorre inevitabilmente lungo l’itinerario del tempo. Poesia che ti coinvolge e ti fa cogliere le emozioni e le riflessioni con una partecipazione solidale al mondo espresso in tutta la sua variegata gamma di esternazioni. Non è lirica nostalgica, né pagina allegra, ottimista certamente; lirica che esalta l’esistenzialità del nostro tempo e la ricerca religiosa in un mondo entro cui l’uomo sfugge a tutte le insidie dell’oggi. Da questa e da altre raccolte se ne ricava  tutto il poeta  Luigi Ruggiero da Cirò Marina. Io che lo conosco da sempre, posso testimoniare del suo continuo scavo psicologico attraverso i meandri non sempre sereni della vita. È poeta da sempre e sempre sottovoce ha scritto e scrive, non solo  per sé stesso, ma soprattutto per gli altri, come un diario sofferto e aperto a tutti, la profondità dell’amore. L’amore che, nella sua essenza più vitale e più pura, è il motivo dominante di tutto il suo itinerario poetico e umano che ci esalta per la sua connaturata ragione di vita perché, oltre il senso della solitudine, cerca di specchiarsi nel mistero della bellezza, dell’amore, della speranza. C’è in fondo, nei versi dell’amico e compagno di studi Luigi un profondo senso di universalità per l’umanità che soffre e si dimena nella perversione dei giorni nostri. La sua poesia è un atto liberatorio, una fuga verso l’altro, verso il sogno in cui è sempre presente la luce della speranza, la fede nel cielo e nel suo infinito. E così sogna e ci fa sognare e sperare in un mondo migliore, senza barriere, senza ipocrisie, senza colori divergenti, piuttosto un arcobaleno allegro e vivace che riporta il sole sulla terra. E Ruggiero lo fa, in modo davvero sublime, con I have a dream ( Io ho un sogno), forse e senza forse la più bella raccolta di poesie che Luigi ci ha offerto in questi anni, edita da Progetto 2000 di Cosenza Bel titolo davvero ed inquietante nel contempo che rimanda a quel  memorabile e mai rimosso “I have a dream” lanciato, il 28 agosto 1963, dall’allora trentaquattrenne Martin Luther King  al quale evidentemente Ruggiero si è ispirato, davanti a trecentomila persone e a milioni di telespettatori, come riportano le cronache del tempo. Dopo quasi mezzo secolo quel sogno, il sogno di tutti gli americani e non solo, forse si è realizzato o va realizzandosi. Ma il sogno di Ruggiero va oltre, come scrive  il compianto Vincenzo Gabriele in presentazione al libro, perché “sogna un mondo diverso in cui, senza fraintesi e senza paure, sia proclamato il Cristo della Verità del fanciullo; che fa arte per la vita e per la cultura, che non è il gozzovigliare con champagne e caviale nei salotti delle dame annoiate del Settecento, che non il meravigliare del  Marini, ma è solo un indossare un abito nuovo che contamini positivamente i comportamenti di chi l’abito nuovo indossa”. Ed ancora, continua il Gabriele, Ruggiero rincorre speranzoso “…quel futuro a misura d’uomo che mette a centro del proprio presente la persona e i suoi diritti spesso misconosciuti…”. Il futuro è la costante di questo itinerario poetico, un futuro incerto, da costruire, un futuro di speranze e così Ruggiero insegue il domani senza certezze ma che pure dev’essere progettato e anelato. Leggiamo qualche verso, sfogliando qua e là questo preziosa raccolta dedicata “a chi crede che un mondo migliore sia ancora possibile. Yes, we can” e corredata anche da didascaliche immagini prodotte da Andrea e Giulia Legnetti nonchè intermezzata da passi tratti dai Testi Sacri come la Lettera ai Romani, la Prima lettera ai Tessalonicesi, la Lettera ai Galati, il Vangelo secondo Matteo ed altri. Leggiamo:“E la foglia di fico, pietosa,/ continua a celare/ le nudità del presente/ che non hanno futuro”. “Oggi, come allora ad Assisi,/ i Cavalieri del Bene ammanniscono/ la nascita di quel Mitra,/ che di mia madre, da mille anni,/ è la sfida per una società a misura di persona”. Ed ancora, Solo al futuro/ la melodia di un cuore rinnovato/ offrirà il presente della fede,/ nella ricerca di un Cristo/ su cui la giustizia dell’uomo/ infierì con la spada degli imbecilli”. E la speranza prende corpo perché “sì, amici miei, una stagione è passata,/ e la coltre di neve,/ che abbondante vela le vesti autunnali,/ prepara il futuro,/ un futuro di sementi di fuoco” e “per raggiungere la meta del domani/ ora parte il mio treno,/ in cui stipati i sudori di gente comune/ più non testimoniano l’usta del pane,/ ma, nel coraggio di un sogno,/il fuoco della speranza”. E non solo, Ruggiero passa il testimone al figlio, come a tutti i figli del mondo, al quale raccomanda “Tieniti stretto ai sogni, Gabriele mio,/ credendo e lottando per i valori dei cavalieri/ anche quando la lotta si perde/ tra i meandri di una società/ che focheggia il crocchio/ dei fannulloni dell’avere.// Ti raccomando, figlio mio,/ anche quando canuto e stanco,/ sarai circondato dagli schiamazzi gioiosi/ della mia eredità, non smettere di sognare.//Perché il sogno è vita,/ perché il sogno è salvezza,/ pure tra imbelli irrisori di ogni risma,/ ti fa abitare il futuro.” E così via di questo passo. Insomma Luigi Ruggiero, in questa silloge, ha scandagliato tra le pagine della vita e testimoniato di un discorso pacato e personale. Lungo un percorso tutto personale, il poeta corre da pagina a pagina in un luminoso riflettere sull’esistere ed alimenta il voluto grigiore di quotidiane vicende anche attraverso i piccoli fatti della vita; così scrive e scava e sollecita tutta la realtà che lo circonda e ne trae stille di rugiade, orizzonti di religiosità, ansia d’infinito. E in fondo l’amico Luigi, in queste pagine di profondo lirismo espresso con indubbia capacità ed abilità di scrittura, non si dimostra soltanto uomo di fede e di ricerca delle cose la cui sagoma e presenza sfugge all’occhio della mente, ma profondo uomo dal bisogno di dare voce ai messaggi da donare ai compagni di viaggio.