Marò l’India calpesta i Diritti Internazionali

Si è scritto molto sulle interpretazioni indiane del Diritto Internazionale, della Convenzione di Montego Bay e delle garanzie che il Diritto pattizio assicura a chi opera in ambienti internazionali od in altri paesi perchè incaricato di garantire la sovranità e la sicurezza al proprio Paese.

Tutti hanno condiviso che Delhi nel caso della vicenda dei due Fucilieri della Marina Militare Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ha prevaricato anche le norme più elementari che regolano i rapporti fra Stati, rinnegando anche atti internazionali concordati sotto l’egida delle Nazioni Unite e sottoscritti dal Governo indiano.

Una verità ormai riconosciuta da tutti, ma forse ignorata unicamente da alcuni esponenti istituzionali italiani assoggettati all’arroganza indiana e che, per taluni aspetti, la condividono accettando che i nostri Marò siano sottoposti a processo penale in India nonostante che i fatti a loro addebitati sono avvenuti inequivocabilmente in acque internazionali, su territorio italiano e quindi assolutamente non di competenza indiana.

In questo contesto, chi dovrebbe invece puntare i piedi per garantire il rispetto della sovranità nazionale e del Diritto consolidato sul piano internazionale unica garanzia per la sicurezza globale, accetta l’indecente approccio indiano, a partire dalla recente minaccia di ritorsioni nei confronti dell’Ambasciatore italiano. Un’azione che potrebbe ripetersi come modello ormai consolidato in considerazione che l’Italia, a suo tempo, ha supinamente accettato l’iniziativa indiana.

L’India è arrivata a marzo a minacciare di arrestare l’Ambasciatore italiano perché, come annunciato dal dott. De Mistura l’11 marzo 2013 i Ministri italiani coinvolti nella vicenda avevano deciso, con la condivisione dell’allora Presidente del Consiglio, di non “riestradare” i due Fucilieri di Marina in India dopo la scadenza del permesso di quattro settimane per partecipare alle elezioni politiche in Italia.

Un’azione arbitraria che potrebbe ripetersi solo se l’Italia tornasse a non condividere o semplicemente a contrastare il “modus operandi” di Delhi, attuando un ricatto infinito ed inaccettabile sul piano formale e sostanziale.

Qualsiasi Ambasciatore non può rappresentare in qualsiasi controversia internazionale “merce di scambio”. Egli beneficia di determinati diritti e privilegi la maggior parte dei quali codificati nella Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961. L’articolo 29 della Convenzione recita, infatti : la persona del diplomatico è inviolabile. Egli non può essere sottoposto ad alcuna forma di arresto o di detenzione. Lo Stato di residenza lo deve trattare con il dovuto rispetto e deve adottare tutte le misure necessarie per prevenire ogni attacco alla sua persona, alla sua libertà o alla sua dignità.

Addirittura all’articolo 39 della Convenzione si legge: …….l’immunità cessa quando il titolare della stessa termina le proprie funzioni e lascia il Paese dove è accreditato …… ma deve sussistere fino a questo momento, anche in caso di conflitto armato. Inoltre l’immunità continua a sussistere per tutti gli atti compiuti dal diplomatico nell’esercizio delle proprie funzioni….. .

Perfino in caso di guerra l’obbligo della garanzia dell’immunità diplomatica deve essere garantito dalla “Nazione Ospite”. L’articolo 44 della Convenzione, infatti, in caso di conflitti armati , prevede che lo Stato di residenza deve garantire strutture idonee per proteggere le incolumità delle persone che godono di privilegi e immunità e delle loro famiglie……., fornendogli ogni mezzo per consentire loro di lasciare il più presto possibile l’area di crisi …..

La norma sull’immunità diplomatica si applica a qualsiasi azione penale o civile, non è un privilegio alla persona ma una garanzia alle funzioni della carica che essa rappresenta, uno scudo importante che deve essere gestito da un sistema internazionale capace di creare e mantenere canali di comunicazione aperti, per evitare che uno Stato, in un qualsiasi controversia, eserciti attraverso fantasiose accuse un ricatto politico nei confronti di un altro Paese.

L’India, di fatto, da più di sedici mesi sta esercitando questo ricatto e l’Italia dimostra giorno dopo giorno di non essere in grado di contrastarlo preferendo ancora una volta la strada del compromesso e dell’accondiscendenza. Un’Italia che a marzo ha consentito a Delhi di minacciare l’arresto del nostro Ambasciatore pur non avendo motivi legali per farlo e di impedirgli di fare ritorno nel proprio Paese forzandone ogni diritto.

L’Italia ha accettato tutto questo e sta continuando a subire una palese prevaricazione della propria sovranità nel momento che il Ministro Bonino ufficializza che “il processo a carico di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due fucilieri della Marina militare trattenuti in India, inizierà a luglio e i due marò saranno “difesi da un collegio di avvocati italiani dello Stato e da avvocati indiani” e quando il Vice Ministro agli Esteri Pistilli parla di “regole di ingaggio” concordate con gli indiani per la soluzione del problema.

Il tutto mentre il dott. De Mistura, rappresentante del Governo delegato a gestire la vicenda, diventato un “pendolare con l’India” , non ritiene, come atto di rispetto nei confronti degli italiani, di informare l’opinione pubblica sui risultati della “Sua intensa azione di negoziati” a favore di due cittadini italiani.

Una vicenda nata male e diventata nel tempo sempre più difficile ed ermetica. Solo un fatto è certo: l’India calpesta il Diritto Internazionale e l’Italia dimostra accondiscendenza non ricorrendo all’arbitrato internazionale. Accetta invece il rischio di essere ancora una volta ricattata da Delhi attraverso possibili azioni ingannevoli nei confronti di coloro che rappresentano l’Italia in quella terra lontana che forse ha dimenticato troppo rapidamente i concetti di democrazia ereditati dalla lunga egemonia britannica esercitata in quel Paese.

Un’Italia che sta dimostrando di preferire l’accettazione dell’approccio indiano, assopita di fronte a palesi prevaricazioni della propria sovranità, complice nell’affermare un modello di controversia fra Stati che se gestito come l’attuale può portare ad estremizzazioni come avvenuto in un passato anche recente e che hanno rappresentato un effetto destabilizzante sulla sicurezza internazionale.