Giorgio Napolitano è di nuovo a Capo dello Stato

NapolitanoBis per Giorgio Napolitano (Napoli, 29 giugno 1925). Il Presidente della Repubblica in carica scrive una pagina nuova per l’Italia con la sua rielezione ad un nuovo Settennato.

In precedenza era stato presidente della Camera dei deputati nell’XI Legislatura (subentrando nel 1992 a Oscar Luigi Scalfaro, salito al Quirinale) e ministro dell’Interno nel Governo Prodi I, nonché deputato dal 1953 al 1996 e senatore a vita dal 2005 (nominato da Carlo Azeglio Ciampi) fino alla sua elezione alla prima carica della Repubblica.

Come Capo dello Stato, Napolitano ha nominato tre presidenti del Consiglio dei MinistriRomano Prodi (20062008), Silvio Berlusconi (20082011) e Mario Monti (2011, tuttora in carica), quest’ultimo da lui nominato il 9 novembre 2011 senatore a vita. Inoltre ha nominato due giudici della Corte costituzionalePaolo Grossi (2009) e Marta Cartabia (2011). Durante l’instabilità governativa iniziale della XVII legislatura, Napolitano nomina dieci Saggi per mettere a punto le riforme istituzionali.

Nasce a Napoli da Giovanni, avvocato liberale, poeta e saggista, originario di Gallo di Comiziano (Napoli), e da Carolina Bobbio, figlia di professionisti napoletani di origine piemontese. Dal 1938 al 1941 studia al Liceo Classico Umberto I di Napoli, dove frequenta quarta e quinta ginnasio per poi saltare alla seconda liceo (erano gli anni della guerra). Nel dicembre del 1941 si trasferisce con la sua famiglia a Padova e lì si diploma presso il liceo Tito Livio. Nel 1942 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli. Durante gli anni dell’università, fa parte del GUF, il gruppo universitario fascista, collaborando con il settimanale IX maggio dove tiene una rubrica di critica teatrale. In questo periodo si forma tuttavia il gruppo di amici storico di Napolitano che, seppur militando ufficialmente nel fascismo, guarda alle prospettive dell’antifascismo. Napolitano dirà più avanti: «Il GUF era in effetti un vero e proprio vivaio di energie intellettuali antifasciste, mascherato e fino a un certo punto tollerato». Il giovane Napolitano, appassionato di letteratura e teatro (un interesse coltivato tra i banchi del liceo Umberto di Napoli, con amici come Francesco Rosi, Giuseppe Patroni Griffi, Antonio Ghirelli, Raffaele La Capria, Luigi Compagnone), debutta anche come attore in un paio di piccole parti nella compagnia del GUF al Teatro degli Illusi presso Palazzo Nobili.

Nel 1944 entra in contatto con il gruppo di comunisti napoletani – come Mario Palermo – e italo-tunisini – come Maurizio Valenzi – che prepararono l’arrivo a Napoli di Palmiro Togliatti. Nel 1945 Napolitano aderisce al Partito Comunista Italiano, di cui è segretario federale a Napoli e Caserta.

Due anni dopo, nel 1947, si laurea in Giurisprudenza con una tesi di economia politica dal titolo: Il mancato sviluppo industriale del Mezzogiorno dopo l’unità e la legge speciale per Napoli del 1904.

Eletto deputato nel 1953 (e successivamente sempre rieletto, tranne che nella IV legislatura, nella circoscrizione di Napoli, fino al 1996), diviene responsabile della commissione meridionale del Comitato centrale del PCI, di cui era diventato membro a partire dall’VIII congresso (1956), grazie all’appoggio che Palmiro Togliatti aveva dato in quel periodo a lui e ad altri giovani nell’ottica della creazione di una nuova e più eterogenea dirigenza centrale.

In quell’anno, tra l’ottobre e il novembre, si consuma da parte dell’URSS la repressione dei moti ungheresi, che la dirigenza del PCI condannerà come controrivoluzionari (l’Unità arriva persino a definire gli operai insorti “teppisti” e “spregevoli provocatori”). Nel momento stesso degli eventi, egli stesso elogia l’intervento sovietico dichiarando: «L’intervento sovietico ha non solo contribuito a impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, ma alla pace nel mondo».

In effetti, rispetto a coloro che, in quel periodo, affermano che quella d’Ungheria è da considerare una legittima rivoluzione e che nel comunismo si devono sviluppare le prospettive di un’apertura democratica, il travaglio di Napolitano rimane – come ammesso poi nella sua autobiografia politica “Dal PCI al socialismo europeo” – a livello di “grave tormento autocritico” riguardo a quella posizione. Successivamente illustra il proprio percorso politico – che seguiva la linea di Giorgio Amendola, il quale avrebbe contributo alla prima evoluzione del partito, di cui Napolitano si considererà sempre un allievo – dichiarando che «la mia storia» non è «rimasta eguale al punto di partenza, ma» è «passata attraverso decisive evoluzioni della realtà internazionale e nazionale e attraverso personali, profonde, dichiarate revisioni».

Tra il 1960 e il 1962 è responsabile della sezione lavoro di massa. Successivamente, dal 1963 al 1966, è segretario della federazione comunista di Napoli.

Nel confronto interno seguito alla morte di Togliatti nel 1964, Napolitano è uno degli esponenti moderati di maggior peso, parte della corrente del partito più attenta al PSI (che, rompendo il fronte popolare, entrerà al governo con la Democrazia Cristiana) in contrapposizione a quella più legata al clima di ribellione precedente il 1968.

Dopo essere entrato, a partire dal X Congresso, nella direzione nazionale del partito, dal 1966 al 1969 diviene coordinatore dell’ufficio di segreteria e dell’ufficio politico del PCI. Nel 1966 riveste l’incarico non ufficiale di vicesegretario di fatto del partito con Luigi Longo, finché due anni più tardi l’incarico sarà affidato a Enrico Berlinguer.

Tra il 1969 e il 1975, si occupa principalmente dei problemi della vita culturale del Paese, come responsabile della politica culturale del PCI. Il suo libro “Intervista sul PCI” con Eric Hobsbawm (Laterza 1975) ha un certo successo, con traduzioni in oltre 10 paesi. Nel periodo della solidarietà nazionale(1976-79) è portavoce del PCI nei rapporti con il governo Andreotti, sui temi dell’economia e del sindacato.

Negli anni settanta svolge una grande attività all’estero, tenendo conferenze negli istituti di politica internazionale in Gran Bretagna, in Germania (dove contribuisce al confronto con la socialdemocrazia europea, in special modo con l’Ostpolitik di Willy Brandt) e (cosa all’epoca inusuale per un politico italiano) nelle Università degli Stati Uniti. Nel 1978 fu infatti il primo dirigente del partito comunista italiano a ricevere un visto per recarsi in visita negli Stati Uniti,[11] dove terrà conferenze e importanti incontri ad Aspen, Colorado, e all’Università di Harvard. L’invito ufficiale, nella sua veste politica, venne soltanto una decina di anni dopo, anche grazie all’interessamento di Giulio Andreotti, e diede luogo anche a un nuovo ciclo di conferenze presso le più prestigiose università statunitensi (Harvard, Yale, Chicago, Berkeley, Johns Hopkins-SAIS e CSIS di Washington). Dal 1976 al 1979 è responsabile della politica economica del partito.

Napolitano è stato uno degli esponenti storici della corrente della “destra” del PCI, nata verso la fine degli anni sessanta e ispirata ai valori del socialismo democratico, nel solco della tradizione segnata da Giorgio Amendola. Negli anni di maggior scontro interno la corrente di Napolitano viene detta dagli avversari “migliorista“, nome coniato anche con una certa accezione dispregiativa facendo riferimento a un’azione politica che servisse a migliorare le condizioni di vita della classe lavoratrice senza però rivoluzionare strutturalmente il capitalismo.

Da Giorgio Amendola eredita l’orientamento riformista di leader dell’ala moderata del PCI, proseguendo nella battaglia per far crescere l’europeismo del Pci fino a candidare al Parlamento europeoAltiero Spinelli; riuscì tuttavia a distanziarsi ulteriormente dall’Unione Sovietica condannando l’invasione sovietica dell’Afghanistan, giustificata, invece, da Amendola. La sua ferma critica all’URSS fu da allora accettata dalla maggioranza del partito.

L’altro personaggio politico con cui nel PCI Napolitano si confronta è Enrico Berlinguer, che considera parte del cammino verso il “superamento delle contraddizioni di fondo tra il PCI nella sua evoluzione e il comunismo come ideologia e come sistema”. Al suo fianco nell’esperienza della solidarietà nazionale, in seguito ne critica le scelte di arroccamento del partito sulle sue posizioni. Napolitano divenne uno dei maggiori esponenti dell’opposizione interna a Enrico Berlinguer (per esempio intervenne contro il segretario nella Direzione del 5 febbraio 1981 dedicata ai rapporti con il Psi) e lo criticò pubblicamente sull’Unità per il modo in cui aveva posto la “questione morale e l’orgogliosa riaffermazione della nostra diversità”.[12] In un famoso articolo pubblicato da L’Unità nell’estate del 1981, Napolitano mette in guardia Berlinguer dai pericoli del settarismo e dell’isolamento parlamentare verso cui, dice, rischia di trascinare il Pci al solo scopo di battere i ‘familiari sentieri’ della lotta di classe.

Napolitano inoltre si adopera per tenere aperta la possibilità di un confronto e di una possibile convergenza con il PSI. Cerca di mantenere vivi i contatti con il socialismo europeo e italiano anche negli anni del durissimo scontro tra Enrico Berlinguer e Bettino Craxi, che raggiunge il culmine con la differente posizione dei due leader sul referendum che avrebbe abrogato la cosiddetta scala mobile.

Nel 1985 affermava che il riformismo europeo è “il punto di approdo del PCI”. Dal 1986 dirige nel partito la commissione per la politica estera e le relazioni internazionali. In quegli anni all’interno del PCI prevale, in politica estera, la linea di Napolitano di “piena e leale” solidarietà agli USA e alla NATO. Henry Kissinger dichiarò in seguito che Napolitano era il suo Comunista preferito (“My favourite communist”).[13] Dal 1981 al 1986 (durante l’VIII e la IX legislatura) è presidente del gruppo dei deputati del PCI alla Camera dei deputati e, dal 1989 al 1992, parlamentare europeo.

Alla morte di Enrico Berlinguer, Napolitano è tra i possibili successori alla Segreteria del Partito; gli viene tuttavia preferito Alessandro Natta. Nel luglio del 1989 è Ministro degli Esteri nel governo ombra del PCI, da cui si dimette all’indomani del congresso di Rimini, in cui si dichiara favorevole alla trasformazione in Partito Democratico della Sinistra. In un’intervista concessa il 6 marzo del 1992 ribadisce: “Ci caratterizza l’antica convinzione che il Pci abbia tardato a trasformarsi in un partito socialista democratico di stampo europeo”. Nel 1991, in piena guerra del Golfo, fa uno storico viaggio in Israele, riportando le posizioni del Partito Comunista Italiano verso una maggiore attenzione alle istanze della comunità ebraica.

Nel 1992 viene eletto Presidente della Camera dei Deputati subentrando a Oscar Luigi Scalfaro, eletto Presidente della Repubblica Italiana. Si trattò della “legislatura di Tangentopoli” e la Presidenza della Camera divenne uno dei fronti del rapporto tra magistratura e politica: due episodi sono estremamente significativi del modo in cui l’indiscusso prestigio personale del presidente Napolitano guadagnò alle istituzioni il conforto dell’opinione pubblica, che in quel periodo era particolarmente incline alla sfiducia nei confronti delle pubbliche autorità.

Il 2 febbraio 1993 all’ingresso posteriore di palazzo Montecitorio si presentò un ufficiale della Guardia di finanza con un ordine di esibizione di atti: esso si riferiva agli originali dei bilanci dei partiti politici (peraltro pubblicati anche in Gazzetta Ufficiale), evidentemente utili al magistrato procedente (Gherardo Colombo, della Procura di Milano) per verificare se talune contribuzioni a politici inquisiti fossero state dichiarate a bilancio, secondo le prescrizioni della legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Il Segretario generale della Camera, su istruzioni del Presidente, oppose all’ufficiale l’immunità di sede, la garanzia delle Camere per cui la forza pubblica non vi può accedere se non su autorizzazione del loro Presidente. Nei giorni successivi tutti i partiti politici e tutti i principali organi di stampa sostennero la scelta del presidente Napolitano.

Il secondo evento ebbe luogo subito dopo la clamorosa seduta del 29 aprile 1993, in cui alcune delle richieste di autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi furono respinte dalla Camera a voto segreto. Il presidente Napolitano convocò il 6 maggio 1993 la Giunta del Regolamento e dispose che le deliberazioni della Camera sulle autorizzazioni a procedere fossero per l’avvenire votate in maniera palese (mantenendo il ricorso al voto segreto solo per la sottoposizione all’arresto, alla perquisizione o ad altra privazione della libertà personale). Così innovando la prassi parlamentare ultrasecolare, la Presidenza della Camera (e quella del Senato, retta da Spadolini, che adottò analoga deliberazione in pari data) si evitò per il prosieguo che le proposte di concessione dell’autorizzazione richiesta dalla magistratura fossero respinte nel segreto dell’urna da quello che era stato ribattezzato il “Parlamento degli inquisiti”.

Nella gestione del lato politico della vicenda di Tangentopoli – pur avendo pronunciato un deciso intervento in memoria del suicida deputato Moroni – si consumò la sua rottura con Bettino Craxi: scelse di non dare alcun seguito alle doglianze di questi contro il presidente della Giunta delle autorizzazioni della Camera, onorevole Gaetano Vairo, guadagnandone una reazione stizzita a tutto campo. Nel processo Cusani, il 17 dicembre 1993, Craxi affermò: “Come credere che il Presidente della Camera, onorevole Giorgio Napolitano, che è stato per molti anni ministro degli Esteri del Pci e aveva rapporti con tutta la nomenklatura comunista dell’Est a partire da quella sovietica, non si fosse mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui, tra i vari rappresentanti e amministratori del Pci e i paesi dell’Est? Non se n’è mai accorto?” Secondo la sentenza sulle tangenti per la metropolitana di Milano Luigi Miyno Carnevale si occupava di ritirare la quota spettante al partito comunista e di girarle, in particolare, alla cosiddetta “corrente migliorista” che “a livello nazionale”, “fa capo a Giorgio Napolitano”.

Nel 1994, tornato sui banchi parlamentari dopo esser stato Presidente della Camera, fu incaricato dal PDS di pronunciare la dichiarazione di voto sulla fiducia del Governo Berlusconi I. Al termine del discorso Silvio Berlusconi si congratulò con lui per il discorso in cui auspicava “una linea di confronto non distruttivo tra maggioranza e opposizione“. Si tratta di un rapporto mantenutosi ottimo per tre lustri, fino all’improvvisa crisi istituzionale sul caso Englaro del febbraio 2009.

Successivamente, Romano Prodi lo sceglie come Ministro dell’Interno del suo governo nel 1996. Come primo ex-comunista a occupare la carica di Ministro dell’Interno, propone (con Livia Turco) quella che diverrà nel luglio 1998 la Legge Turco-Napolitano, che istituisce i centri di permanenza temporanea (CPT) per gli immigrati clandestini.

Mentre ricopre tale incarico, è molto criticato per non aver attuato una tempestiva e adeguata sorveglianza su Licio Gelli, fuggito all’estero (dopo essere evaso dal carcere già nel 1983) il 28 aprile1998, il giorno stesso della divulgazione della sentenza definitiva di condanna per depistaggio e strage da parte della Cassazione. Per questi fatti il direttore di MicroMega Paolo Flores d’Arcais ne chiede le dimissioni.

Dopo la caduta dell’esecutivo guidato da Prodi, è nuovamente europarlamentare dal 1999 al 2004 tra le file dei Democratici di Sinistra ricoprendo la carica di Presidente della Commissione Affari Costituzionali (AFCO), una delle più influenti del Parlamento Europeo.

Il 23 settembre 2005 è nominato, assieme a Sergio Pininfarina, Senatore a vita dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

Il 10 maggio 2006 è eletto undicesimo Presidente della Repubblica Italiana. Il 20 aprile 2013 è eletto dodicesimo Presidente della Repubblica Italiana.

Dal 21 febbraio 2007 si trova a dover gestire la prima crisi di Governo da quando è salito al Colle, causata dalle dimissioni del premier Romano Prodi, in seguito al voto contrario del Senato alla relazione sulla politica estera del suo Governo; dopo tre giorni rinvia il Governo alle Camere per la fiducia.

Il 24 gennaio 2008 riceve nuovamente le dimissioni di Prodi, in seguito al voto di sfiducia al governo maturato in Senato in seguito all’abbandono della maggioranza governativa da parte dell’UDEUR di Clemente Mastella. Avvia le consultazioni con le forze politiche per la ricomposizione di una difficile crisi di governo e, propenso a scongiurare le elezioni anticipate (pure richieste dalla maggioranza delle forze parlamentari), ma consapevole della difficoltà di creare un nuovo esecutivo con maggioranza stabile, il 30 gennaio conferisce al Presidente del Senato Franco Marini un mandato esplorativo finalizzato a trovare un consenso tra le forze politiche su una riforma della legge elettorale e su un governo che assuma le decisioni più urgenti. Ma il tentativo fallisce e, il 4 febbraio, Marini rimette il mandato ricevuto. Il 6 febbraio il Capo dello Stato firma il decreto di scioglimento delle Camere, chiudendo così, dopo appena 22 mesi dal suo insediamento, la XV Legislatura, la seconda più breve della storia della Repubblica (dopo l’XI Legislatura).

L’8 novembre 2011, giorno in cui il governo Berlusconi IV verifica di non avere più una maggioranza parlamentare alla Camera e si verificano intensi attacchi speculativi ai titoli di Stato, Napolitano si accorda con Berlusconi perché si addivenga alle dimissioni del suo governo non appena sia concluso l’iter di approvazione delle leggi di bilancio. Il giorno successivo, Napolitano nomina Mario Monti senatore a vita, mossa interpretata dai commentatori e dai mercati finanziari come una indicazione di un probabile successivo incarico al ruolo di Presidente del Consiglio. Infatti il 12 novembre, dopo l’approvazione e la promulgazione della Legge di stabilità, Napolitano accoglie le dimissioni di Berlusconi e affida proprio a Monti l’incarico per la formazione di un nuovo governo. Proprio nella fase di formazione di questo nuovo esecutivo, il ruolo del Capo dello Stato è stato da ogni parte rilevato come di primario impulso alla riuscita dell’incarico Monti tanto che, in un editoriale del 2 dicembre 2011, il New York Times attribuisce al Presidente Napolitano il soprannome di “Re Giorgio”,[26] con un chiaro riferimento a Re Giorgio VI del Regno Unito, per la sua “maestosa” difesa delle istituzioni democratiche italiane anche al di là delle strette prerogative presidenziali e per il ruolo da lui svolto nel passaggio dal governo di Silvio Berlusconi a quello di Mario Monti. Nella fine di dicembre il settimanale L’Espresso ha nominato il 2011 l'”anno di Napolitano” e, di conseguenza, egli stesso “uomo dell’anno”.

Nella fase di formazione del nuovo governo, seguente le Elezioni politiche italiane del 2013, il 22 marzo ha affidato a Pier Luigi Bersani un incarico per “verificare l’esistenza di un sostegno parlamentare certo” per formare un esecutivo nel minor tempo possibile. Seguendo le richieste del Presidente, l’on. Bersani inizia un lungo giro di consultazioni comprendenti sia le parti sociali che politiche al termine delle quali, il 28 marzo, riferisce al Quirinale l’esito infruttuoso delle stesse. Per tale motivo, a partire dal giorno successivo, Napolitano inizia ulteriori consultazioni con le maggiori forze in Parlamento per accertare personalmente gli sviluppi possibili del quadro politico-istituzionale. Dato l’empasse politico-istituzionale molti giornali accreditano come possibili le eventuali dimissioni dalla Presidenza per permettere l’elezione di un Presidente con pieni poteri; tale ipotesi viene smentita categoricamente dallo stesso Napolitano.

Il 20 aprile 2013 gli è stata richiesta da un ampio schieramento parlamentare la propria disponibilità ad essere rieletto alla presidenza della Repubblica ed egli ha riconfermato la sua disponibilità.

A partire dal 2004 Napolitano ha ricevuto diversi riconoscimenti accademici honoris causa:

  • laurea in Scienze politiche all’Università degli Studi di Bari (6 febbraio 2004)
  • laurea all’Universidad Complutense di Madrid (29-30 gennaio 2007)
  • nomina a Professore onorario all’Università degli Studi di Trento (11 febbraio 2008)
  • laurea in Filosofia all’Università Ebraica di Gerusalemme (27 novembre 2008)
  • laurea in Politiche ed istituzioni dell’Europa all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” (14 novembre 2009)
  • docteur honoris causa all’Université Paris-Sorbonne (28 settembre 2010)
  • doctorate h.c. in Civil Law by Diploma all’Oxford University (29 giugno 2011)
  • laurea in Relazioni internazionali e in Scienze internazionali e diplomatiche, da parte delle due facoltà di Scienze politiche, di Bologna e di Forlì, dell’Università di Bologna Alma Mater Studiorum (30 gennaio 2012)

Giorgio Napolitano è sposato con Clio Maria Bittoni. I coniugi Napolitano si conobbero a Napoli dove lei frequentava l’Università di Napoli presso la quale si è laureata in Giurisprudenza e si sono sposati con rito civile in Campidoglio nel 1959; hanno avuto due figli, Giovanni (nel 1961) e Giulio (nel 1969).

Clio Maria Bittoni, nata a Chiaravalle il 10 novembre 1934 mentre i suoi genitori erano al confino, è un avvocato, specializzata in diritto del lavoro e nell’applicazione della legge sull’equo canone in agricoltura; ha lavorato per molti anni nell’ufficio legislativo della Lega delle Cooperative, incarico dal quale si è dimessa nel 1992 quando il marito è stato eletto Presidente della Camera dei deputati.