Limbadi, l’opposizione all’attacco

Una sorta di ritirata sull’Aventino (per sottolineare il momento in cui la democrazia sul territorio comunale è in grave pericolo) e in attesa hanno pronte le dimissioni. Però prima attendono che si faccia luce sul presunto intreccio politico-mafioso emerso dalle intercettazioni.

È la nuova strategia di retroguardia da parte dell’opposizione guidata dall’allora candidato a sindaco Pino Morello. Evidentemente risuonano ancora forti le affermazioni del sindaco Francesco Crudo  durante il Consiglio comunale aperto di giovedì’ scorso, indetto per esprimere la dura condanna contro i vili atti criminosi contro “onesti e laboriosi cittadini”. Ma non solo, in quanto il sindaco ha difeso l’onorabilità della propria Amministrazione e dei propri atti rispetto alle accuse rivolte dall’opposizione per le presunte pressioni operate su alcuni candidati della “Lista democratica”, decidendo di non partecipare alla seduta come segno di protesta “per l’intreccio politico-mafioso” emerso sugli organi di stampa.  Ecco perché il capogruppo Morello vuole spiegare – e rinnova le sue dure accuse – i motivi che hanno indotto la sua compagine a meditare le dimissioni e a restare in “religioso silenzio” in tutto questo tempo.

“A noi è costato molto in termini politici non presenziare” esordisce Morello, ma “la solitudine in cui si è svolto il consiglio comunale dimostra quanto distacco ci sia tra gli amministratori e la popolazione, la quale con la propria assenza dimostra di aver sfiduciato una amministrazione arrivata prima alle competizione elettorale del 2011 in modo non democratico con grandi e gravi pressioni sull’elettorato e con ingerenze mafiose,  come risulta dai verbali pubblicati sulla stampa. Il tentativo maldestro di scaricare sull’opposizione e i componenti della Lista democratica – continua la sua accusa ancora il capogruppo dell’opposizione –  dimostra la propria debolezza e mancanza di argomentazione”. Ma rispetto ai sospetti adombrate dal sindaco sul coinvolgimento di alcune esponenti dell’opposizione, “ribadiamo l’assoluta estraneità di tutti i nostri candidati, orgogliosi delle risposte date alle offerte di candidarsi a sindaco e di netto rifiuto a non candidarsi. La storia di ogni componente della Lista democratica è sotto gli occhi di tutti per coerenza e coraggio e per ognuno parlano le storie personali”. Per questo “noi non ci sentiamo garantiti nello svolgimento del nostro compito venendo a conoscenza che l’amministrazione al Comune è frutto di intimidazione con un voto condizionato”. Rispetto a questo quadro il capogruppo dell’opposizione ritiene che le precisazioni del prefetto Michele Di Bari di domenica, sono un altro atto di sfiducia contro l’amministrazione Crudo per come si è comportata sulla questione dei beni confiscati al clan Mancuso e nei confronti della responsabile Adriana Musella, per il progetto dell’Università antimafia.

“A nulla valgono le autocertificazioni o gli auto attestati di verginità antimafia”, riprende Morello. “Parlano i fatti e gli atti e ancora risuonano vibranti le offensive parole nei confronti della dottoressa Adriana Musella e del collaboratore di giustizia Nello Ruello in consiglio comunale circa un anno fa.  Il sindaco ed elementi della giunta hanno attaccato con frasi offensive sia la Musella e Ruello, tanto è vero che come capogruppo ho dovuto richiamarlo ad un linguaggio consono alle istituzioni. Ma forse per questo – ricorda ironico – ha fatto scrivere la lettera al suo vice non avendo il coraggio di smentire le pesanti affermazioni”.

In conclusione, alla pesante requisitoria del capogruppo di opposizione contro l’amministrazione Crudo,  nel rievocare tutta una serie di atti ed episodi nel corso di questi due anni, che secondo Morello hanno rivelato evidenti comportamenti antidemocratici  “senza speculare sulla delicata situazione”,  l’etica politica – ribadisce – “in casi del genere impone non vaghe smentite a distanza di molti giorni o attacchi personali: l’unica via sarebbe stata quella delle dimissioni di tutto il Consiglio comunale per non condannare una popolazione a vivere per gli anni futuri in regime commissariale. Infine, spiega, “non si lascia il paese allo sbando dimettendosi, ma si lascia allo sbando e quando si fa perdere ai cittadini la fiducia nelle istituzioni i cittadini si sentono abbandonati e traditi”.