Oggi la Chiesa ricorda i tessalonicesi Cirillo e Metodio – I santi fratelli compatroni del vecchio Continente, ma l’U.E. ignora

 I fratelli Cirillo, al secolo Costantino, (827 – 869) professore di filosofia alla scuola imperiale, e Metodio, (815 – 885), dedicatosi molto giovane alla vita monastica sul monte Olimpo in Asia Minore, nativi di Tessalonica e figli di Leone, dignitario imperiale, il drungarios (vicegovernatore), sono da sempre venerati come apostoli degli Slavi. Nel 1980 sono stati proclamati da Giovanni Paolo II, slavo tra i latini e latino tra gli slavi, con la Lettera Apostolica Egregiae virtutis compatroni d’Europa assieme a san Benedetto da Norcia, nel contesto di una forte sottolineatura della necessità di ritrovare e testimoniare l’unità spirituale dell’Europa cristiana, come scrive Giovanna Parravicini in Cirillo e Metodio (Ed. San Paolo, 2004). Inviato con il fratello in missione diplomatica presso i Chazari e poi in Moravia, Cirillo compose il nuovo alfabeto che da lui prese il nome e tradusse con il fratello la Sacra Scrittura. Scrive ancora Giovanni Paolo II nella Enciclica Slavorum apostoli che “Cirillo e Metodio sono come gli anelli di congiunzione, o come un ponte spirituale tra la tradizione occidentale e quella orientale, che confluiscono entrambe nell’unica grande Tradizione della Chiesa universale. Essi sono per noi i campioni e insieme i patroni nello sforzo ecumenico delle Chiese sorelle d’Oriente e d’Occidente, per ritrovare mediante il dialogo e la preghiera l’unità visibile nella comunione perfetta e totale”. E non solo. Anche il successore al soglio pontificio Benedetto XVI, nell’udienza generale del 17 giugno 2009, così sottolineava: “In effetti, Cirillo e Metodio costituiscono un esempio classico di ciò che oggi si indica col termine ‘inculturazione’: ogni popolo deve calare nella propria cultura il messaggio rivelato ed esprimerne la verità salvifica con il linguaggio che gli è proprio”. Scrive ancora la Parravicini che “la proclamazione di Cirillo e Metodio compatroni d’Europa, affermando una più vasta unità del continente e dilatandone i confini fino ad includervi le popolazioni delle regioni orientali, ha ratificato anche, quale elemento costitutivo dell’identità europea, la presenza al suo interno di una duplicità di matrici e di eredità culturali, di cui Benedetto, ‘patriarca d’Occidente’, e i due fratelli tessalonicesi costituiscono gli emblemi viventi”. E, come se non bastasse, lo stesso amatissimo Wojtyla, nel discorso ai partecipanti al Colloquio internazionale su “Le radici cristiane delle nazioni europee”, ribadiva che “il senso cristiano dell’uomo, immagine di Dio, secondo la teologia greca tanto amata da Cirillo e Metodio e approfondita da sant’Agostino, è la radice dei popoli dell’Europa e ad esso bisogna richiamarsi con amore e buona volontà per dare pace e serenità alla nostra epoca”. Ed ancora. Gorge Steiner, in Una certa idea di Europa, come ricorda Martino Michele Battaglia nel suo Amici e nemici della società aperta ( Ed. Pellegrini, Cosenza, 2012), scriveva che “l’Europa morirà se non combatte per difendere le sue lingue, le sue tradizioni locali, le sue autonomie sociali. Perirà se dimentica che ‘Dio si trova nei dettagli’”. Eppure, tanto non è bastato. Neppure dopo tanti richiami ed esortazioni: la Costituzione dell’Unione Europea non fa alcun richiamo alle radici cristiane della fondazione del vecchio Continente. Nonostante Giovanni Paolo II avesse scritto nella Lettera apostolica Euntes in mundum, che “l’Europa è cristiana nelle sue stesse radici. Le due forme della grande tradizione della Chiesa, l’occidentale e l’orientale, le due forme di cultura si integrano reciprocamente come i due ‘polmoni’ di un solo organismo. Tale è l’eloquenza del passato; tale è l’eredità dei popoli che vivono nel nostro continente. […] Nelle diverse culture delle nazioni europee, sia in Oriente sia in Occidente, nella musica, nella letteratura, nelle arti figurative e nell’architettura, come anche nei modi di pensare, scorre una comune linfa attinta ad un’unica fonte”. Insomma la caratterizzazione dell’Unione Europea, ricevuta dalla religione nel corso di due millenni, appare evidente e marcata. E negli ultimi tempi, la mancanza di un espresso riferimento alla base giudaico-cristiana nella Carta fondativa dell’Unione Europea, sta inducendo, da più parti, politici, filosofi e giuristi ad un esame critico delle motivazioni che hanno indotto gli estensori di essa a una tale esclusione. E la Chiesa, il prossimo giovedì 14 febbraio, fa memoria di questi Santi “come operai nella messe e come agnelli in mezzo ai lupi” compatroni d’Europa che hanno evangelizzato i popoli della Pannonia e della Moravia, traducendo per loro in slavo la Bibbia e la Liturgia. L’Europa ha i suoi compatroni, eppure…! A Bruxelles ignorano.