Di Saverio De Bartolo l’itinerario di un uomo vissuto tra i camini della Montedison

  Tante piccole storie di una umanità viva ed effervescente. Parla di una città, del suo amore per il lavoro, della gioia di vivere tra i tanti lavoratori di una fabbrica chimica e lo fa con eccessiva semplicità tanto da essere ricca di una comunicabilità immediata. Son tante piccole grandi cose, persone e avvenimenti che raggiungono un lirismo accattivante ed una freschezza coinvolgente. Assenza, presenza, solitudine, memorie d’amore e memoria dei tempi costellano queste pagine che si aprono sullo sfondo di una città come Ferrara che costituisce lo specchio perfetto del pathos dello scrittore. Saverio De Bartolo, cirotano di nascita e adottato da Ferrara dove ha lavorato per tanti anni al Centro Ricerche della Montedison, dopo i libri della memoria “Kakovia” del 2004 e “A froggia e Mastu Lorenzu” del 2010, ci dona un altro libro della memoria dal titolo intrigante “Si sa che…”edito in proprio lo scorso anno nella città estense. È il racconto di una vita, insomma, questo che l’amico Saverio ha voluto offrire alle giovani generazioni perché sappiano e non dimentichino.  Un racconto esemplare, ricco di buoni sentimenti e spiritualità anche, dove il tempo e il passato non assume un aspetto evanescente ma risonanza di umanità ed esperienza. Un racconto dalla facile lettura, bene ambientata e dal linguaggio descrittivo ed efficace che non nasconde la voglia di fare poesia. Perché un libro del genere? Perché, come scrive in presentazione lo stesso scrittore di Cirò, “si sa che due persone, che hanno vissuto per tanto tempo nello stesso ambiente, per esempio sul lavoro, quando si ritrovano al di fuori di esso, finiscono per parlare dei loro ricordi.” “Così, continua De Bartolo,  “ camminando per le strade di Ferrara, si incontrano amici, magari quelli che hanno lavorato in Montedison, con i quali dopo i soliti convenevoli si comincia a parlare di amici e conoscenti…e così vieni a sapere che nel frattempo qualcuno è morto…E giù a considerare come i colleghi che se ne vanno, che chiudono i loro giorni su questa terra, portano con se i loro ricordi che il tempo avaro finisce per cancellare definitivamente…”. Ma non può essere così, non deve essere così e De Bartolo vuole perpetuare il ricordo dell’uomo, della persona, del lavoratore, di quello che è stato e di quello che ha lasciato in eredità. Ecco allora simpatici medaglioni dipinti con delicate tinte che parlano e ricordano gli amici del suo tempo in Montedison. Conosciamoli: Pier Camillo Barbè “ricercatore di grande prestigio e mai un atteggiamento fuori dal normale”; Colombezio, nomignolo appiccicato all’ing. Ezio Colombo da “una preparazione straordinaria e acuta intelligenza che facevano da contrasto alla modestia della sua persona”; Culdibionda  il “fasso tutto mi”. Ed ancora i Grassi, Magri e Longhini, Alessandro Negromanti quello dell’ “improvmentare”, iProfessori di Padovae altri ancora. Continuando a sfogliare il libro, risulta  accattivante per un profano, come chi scrive questa nota, il capitolo che descrive il pianeta “chimica [che] ruba piccoli segreti alla natura e ce li dona”. Qui l’esperto De Bartolo ci offre un ampio catalogo di conoscenze, esperienze, informazioni e riflessioni sul ricercatore chimico, “un mestiere impegnativo che abbisogna di un retroterra culturale adeguato…un mestiere che va ridefinito in funzione dell’evoluzione dei sistemi informativi nel cosiddetto sistema globale.” Qui il racconto diventa itinerario d’anima con vari momenti, uniti fra loro da agganci nascosti con riflessioni di ampia incidenza sociale e umana. Anche verso la grande fabbrica di Ferrara, negli anni ’50, ci fu un gran movimento di immigrati del sud. Non mancarono quelli provenienti da Crotone dove vi era una fabbrica di Azotati della Montecatini, come si chiamava allora. E, “per quanto riguarda i comportamenti, le famiglie dei calabresi della prima ondata si sono stabilite in città…i giovani di queste famiglie hanno socializzato con i ferraresi: sono stati frequenti i legami sentimentali…In confronto agli altri gruppi sociali, si può ritenere che i calabresi si siano meglio integrati”. Ne fa fede Saverio De Bartolo. Al postutto non si può tralasciare di dire che il racconto di vita dell’amico De Bartolo coinvolge non solo per la luce ed i colori, ma anche per la capacità che l’autore ha nel regalarci emozioni ed esperienze che appartengono a tutti e particolarmente, mi consenta il paziente lettore di questa nota, alla gente di Crotone che ha vissuto per tanti anni all’ombra di Montedison e delle altre fabbriche, oggi dismesse, che hanno scritto la storia di questa città operaia. Sono sensazioni, emozioni, sentimenti che, accarezzando le pagine di De Bartolo, diventano poesia.